All'interno

È il titolo della tesi di laurea in Ingegneria Gestionale presentata presso il Politecnico di Bari premiata con il massimo dei voti.
La Tesi di Laurea è disponibile in formato zip nell’area download

Relatore

Ch.mo Prof. Ing
Eugenio Di Sciascio

Laureando

Claudio Caforio

SISTEMI INFORMATIVI

I sistemi di supporto alle decisioni ed allo sviluppo economico per i distretti industriali:

IL MAGAZZINO VIRTUALE UNITEC

Sommario

Introduzione

Premessa

Da più di un decennio, la progressiva e sempre più rapida globalizzazione dei mercati crea non pochi problemi alle imprese presenti nei Distretti Industriali. Questo fenomeno ha comportato spesso la perdita di consistenti quote di mercato, sia acquisite che da acquisire potenzialmente, che solitamente erano di “competenza” delle imprese distrettuali.
La sfida del mercato globale presenta quindi grandi rischi, ma può dare grandi opportunità se opportunamente condotta.

In questo lavoro si è voluto proporre uno strumento gestionale che permetta alle imprese distrettuali di passare da un ruolo passivo, che li obbliga a subire le scelte esterne, ad un ruolo pro-attivo, che permetta loro di competere ad armi pari con i concorrenti esterni.

Questo strumento è il Magazzino Virtuale, che si propone di supportare alcune decisioni importanti per lo sviluppo economico del Distretto, ovvero approvvigionamenti ed immagazzinamento merci.

Il passaggio ad un ruolo pro-attivo, anche tramite l’adozione del Magazzino Virtuale, non può però prescindere da una scelta vitale per il Distretto, ovvero Cooperazione e Condivisione, cooperazione nelle decisioni e nelle strategie e condivisione di risorse fisiche ed intellettive.

Metodologie Applicate

Le innovazioni proposte in questo lavoro sono principalmente due e riguardano metodologie e campi applicativi totalmente differenti, ma divenuti al tempo stesso complementari con le nuove tecnologie informatiche:

la gestione degli approvvigionamenti (Logistica e Gestione della Produzione Industriale)
i sistemi di supporto alle decisioni informatizzati (Sistemi Informativi).

La parte riguardante la gestione degli approvvigionamenti pone le sue basi negli studi portati avanti da diversi anni da un’impresa di Logistica e servizi, la Unitec GmbH, e più precisamente affronta il problema della ridondanza delle merci immagazzinate nei Distretti Industriali.

Nei Distretti, per loro costituzione, ci sono tantissime imprese simili che effettuano lo stesso tipo di lavorazioni, utilizzano i medesimi componenti, hanno in comune molti fornitori.
Questo porta ad avere un numero elevato di magazzini presenti all’interno del Distretto, che hanno la stessa tipologia di merce, nella forma, nella dimensione, spessissimo nel fornitore e nella marca.
Se, per ipotesi, tutta questa merce venisse raggruppata e resa disponibile in qualsiasi momento ed a qualsiasi impresa del Distretto stesso, sarebbe di molto sovrabbondante alle reali necessità di approvvigionamento, costituendo un costo eliminabile di notevole dimensione.
Purtroppo le aziende dei DI hanno una scarsa attitudine alla collaborazione per vari motivi, il che renderebbe impossibile la costituzione di un’unica piattaforma logistica di Distretto.
E’ per questo che la Unitec GmbH ha messo a punto il sistema del Magazzino Virtuale. Grazie all’utilizzo del Magazzino Virtuale (da ora in poi MV), le merci, e più specificamente le scorte di sicurezza, rimangono fisicamente nei magazzini delle singole imprese, ma sono, per la maggior parte, disponibili in un MV (che non è fisicamente esistente).

Su questa soluzione di Logistica si innesta la seconda innovazione proposta, ovvero l’uso dei nuovi Sistemi di Supporto alle Decisioni che utilizzano, in maniera indispensabile, le tecnologie informatiche di base, e divengono strumento fondamentale grazie ai Sistemi Informativi Avanzati.
Questa innovazione ha uno scopo ben preciso, ovvero fornire un mezzo sicuro, veloce, metodologicamente valido, per prendere decisioni e per tenere sotto ferreo controllo le attività di magazzino, i suoi costi, le sue inefficienze. L’output più immediato di questi sistemi è la produzione di report, ovvero di resoconti avanzati sull’andamento del magazzino, da tutti i punti di vista e personalizzati secondo le richieste dell’Alta Direzione, del responsabile di linea, dell’ingegnere di produzione.
Un vantaggio di fondamentale importanza è che questi resoconti vengono forniti quasi in tempo reale, con costi nulli, se non per l’ammortamento dell’implementazione del Sistema Informativo.
I mezzi informatici utilizzati per questa seconda proposta sono i database relazionali ed i Datawarehouse.

Una volta messi in chiaro i vantaggi ed i problemi che si pongono allo sviluppo di questo progetto, per procedere poi ad un’analisi costi opportunità, si è passati allo sviluppo di un database relazionale che servisse da supporto ai magazzini reali ed al Magazzino Virtuale, alla previsione di un sistema di estrazione dei dati (ETL) dai suddetti database, alla realizzazione di un Datawarehouse funzionale, ovvero un Datamart totalmente dedito alla raccolta ed elaborazione di informazioni provenienti dai dati dei magazzini distrettuali e dal MV.
Le metodologie seguite per la realizzazione del database relazionale seguono le regole standard di normalizzazione di Boyce e Codd, e le regole implementative di SQL Server 2000.
Stessa cosa dicasi per la realizzazione del DW, per cui sono state seguite principalmente le metodologie suggerite da Ralph Kimball, e sempre utilizzando SQL Server 2000.

I Distretti Industriali: Elementi Fondamentali e Strutture

Elementi Fondamentali

Protagoniste indiscusse dei Distretti Industriali sono le piccole e medie imprese (PMI) che hanno sempre dato un forte contributo all’economia italiana.

I DI, circa 201 su tutto il territorio nazionale, sono caratterizzati dalla presenza, in un’area mediamente di 50Km2, di numerose piccole e medie imprese, con un numero di dipendenti che varia da poche decine a qualche centinaio.
Il numero di dipendenti è di circa 2.200.000, e costituiscono il 42% dell’occupazione manifatturiera italiana.
Esse producono beni appartenenti alla stessa tipologia merceologica, alla stessa famiglia produttiva, ed hanno una forte interrelazione, volontaria ed involontaria; nella maggior parte dei casi, nel Distretto si produce un’unica tipologia di prodotto e le varie imprese si impegnano in una o poche fasi della produzione del bene.

In generale, è possibile identificare alcune caratteristiche comuni ai diversi DI, che sono dislocati indistintamente su tutto il territorio nazionale, illustrate nel seguito.

Le Tipologie d’Impresa Distrettuale

Di seguito sono proposte due classificazioni “didattiche” delle imprese dei Distretti.
Una prima classificazione è stata effettuata in base al posizionamento delle imprese nella catena del lavoro, distinguendo tra:

  • imprese terminali, sono quelle che producono il prodotto finale e che hanno accesso sui mercati di sbocco (ad esempio, assemblaggio e fasi accessorie);
    imprese contoterziste (monofase o plurifase), sono quelle coinvolte in una o più fasi della produzione (ad esempio, nella produzione di divani, sono quelle che conciano la pelle, o imbottiscono i cuscini);
    imprese fornitrici, operano in un’industria diversa da quella che identifica il prodotto finale, ma appartengono allo stesso settore verticalmente integrato delle imprese terminali (ad es. in un Distretto dell’abbigliamento queste coincidono con le imprese che producono bottoni).
  • Poi, in base al comportamento strategico – competitivo delle imprese operanti all’interno dei Distretti, è possibile individuare quattro tipologie di imprese:
  • imprese leader, sono imprese che detengono una posizione di dominanza sul mercato di riferimento e che hanno sviluppato un set di competenze che alimenta un vantaggio competitivo sostenibile nei confronti dei concorrenti, locali e non;
  • imprese follower, sono imprese che si affacciano sul mercati di nicchia e che presentano una sostanziale debolezza nelle competenze di innovazione e progettazione del prodotto, cui fanno fronte adattando e soprattutto imitando i prodotti lanciati dalle imprese leader;
  • imprese specializzate, sono imprese che hanno sviluppato specifiche competenze nell’area produttiva e che sono in grado di offrire, grazie alle competenze distintive che sviluppano, un valido contributo alla competitività delle imprese leader e più in generale a tutte le imprese del Distretto;
  • imprese “bloccate”, sono imprese che eseguono, per conto di uno o più committenti, specifiche lavorazioni e che risultano in una posizione di debolezza contrattuale e di dipendenza nei confronti dei potenziali clienti, dovuta non solo alla struttura dell’offerta (numerosità delle imprese, scarsa differenziazione del prodotto), ma anche alla mancanza di asimmetrie informative in merito alla produttività degli impianti, ai tempi e ai costi di lavorazione.

Le Configurazioni Distrettuali

i fini dell’analisi effettuata nel seguito del lavoro di tesi, questo paragrafo assume un’importanza fondamentale, perché dalla configurazione dei Distretti è possibile comprendere la situazione attuale ed intuire in quale maniera si può ottenere un rilancio dei DI, e quale tipo di sistema di supporto alle decisioni si adatta a ciascuna tipologia.
Solo conoscendo il passato è possibile comprendere il futuro.
E’ possibile identificare tre configurazioni di Distretti:

  • Distretto tradizionale
  • Distretto con impresa leader
  • Distretto con entità meta-manager

Nel primo caso il Distretto è caratterizzato come “sistema integrato”, in cui c’è l’agglomerazione di PMI altamente specializzate in un processo od in più fasi di esso, ed una o più hub firms, ovvero aziende che hanno una posizione focale all’interno dell’indotto. Le imprese hub generalmente sono di dimensione più grande e producono il prodotto finale che uscirà dal Distretto stesso; per questo hanno anche sviluppato una certa interazione con l’esterno ed hanno diretto accesso al mercato finale.

Nel secondo caso, il DI è composto da diversi sub-fornitori di una o più imprese leader che hanno dimensioni rilevanti (ad esempio Natuzzi seguito da Calia e Nicoletti nel Distretto di Altamura-MT). E’ l’impresa leader che adotta le strategie di crescita più rilevanti, e tende ad “internalizzare” competenze che prima erano di altre imprese più piccole e che per esigenze competitive tende a fagocitare tramite acquisizioni ed investimenti rilevanti per il Distretto. E’ ovvio che l’interfaccia tra Distretto ed esterno è tenuto dall’impresa leader o comunque da imprese in stretto contatto con quella guida.

Nell’ultimo caso preso in considerazione, la configurazione del Distretto è caratterizzata dalla formazione di organizzazioni, consorzi, spesso promossi da istituzioni pubbliche, che provvedono a seguire il Distretto fornendo consulenza, in campi quali certificazione ISO, training professionale, sviluppo prodotti, ed altri servizi.
In molti casi il consorzio seleziona, compra i materiali grezzi od i componenti per le imprese distrettuali, cerca nuovi clienti; in questo caso di DI è il metamanagement a fare da interfaccia con l’esterno.

L’ORGANIZZAZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO

Una volta identificati i ruoli delle imprese nella filiera distrettuale e visualizzate le configurazioni dei principali Distretti Italiani, è necessario comprendere come si struttura il processo produttivo, e come risultano suddivise le varie fasi della lavorazione del prodotto.

L’efficienza della produzione dei Distretti è riconducibile in parte all’elevata divisione del lavoro, la quale, grazie alla fitta rete di rapporti inter-organizzativi, consente alle singole imprese di massimizzare l’uso degli impianti, di dar luogo ad economie di scala, di specializzare la forza lavoro e conseguire così elevati rendimenti dalla stessa.

I processi produttivi vengono scomposti in più fasi che risultano spazialmente e temporalmente realizzabili in modo separato.

Ad esempio, nel caso di una produzione di divani, ci sono gruppi di imprese che si occupano della pelle, altre del telaio, altre degli accessori, altre dell’imbottitura. All’interno delle singole fasi ci sono altre sottofasi, svolte da altri gruppi di imprese, ad esempio alcune aziende si occupano della produzione di telai in plastica, altri in legno, altre ancora si occupano di entrambe le tipologie. Alla fine si ha una complessa relazione di concorrenza e collaborazione.
grafico1

La concorrenza si sviluppa fra imprese uguali, cioè imprese che lavorano lo stesso prodotto e svolgono la medesima attività.
Questa contribuisce a conferire al sistema uno spiccato dinamismo, infatti le imprese sono stimolate a ricercare e adottare le soluzioni produttive meno costose, impegnandosi generalmente in una modesta ma proficua attività di ricerca di nuove soluzioni innovativi.

I rapporti di cooperazione risultano invece dalla complementarità esistente fra unità che si situano a livelli diversi del ciclo produttivo (imprese committenti e sub – fornitrici). Gli effetti positivi dei rapporti di cooperazione si estrinsecano in molte direzioni.
In primo luogo la cooperazione permette alle imprese di godere delle economie esterne connesse alla dimensione complessiva del Distretto. Ma soprattutto assicura un’efficace attività di coordinamento, il che è estremamente importante dato il carattere frazionato del processo.

Inoltre i Distretti, in virtù della divisione della produzione tra più soggetti autonomi, sono in grado di adeguare rapidamente l’offerta, sul piano quantitativo e qualitativo, alle variazioni quali-quantitative della domanda finale. L’adattabilità è in particolare il risultato di due proprietà della struttura produttiva distrettuale: l’ elasticità (variazione del volume di produzione) e la flessibilità (variazione del mix produttivo).

I Tre Punti Cardine

Riassumendo e focalizzando, i DI hanno tre caratteristiche vincenti di fondamentale importanza.

Il primo è la specializzazione flessibile che ha segnato il passaggio dall’impresa di grandi dimensioni di tipo fordista, basata sulla standardizzazione dei processi e dei prodotti, alla suddivisione del lavoro tra piccole imprese strettamente interdipendenti e concentrate in un’area definita.
Questo modello è stato in grado di fronteggiare la complessità e la turbolenza ambientale. Esso ha permesso di ottenere forti economie di scala, come per le grandi imprese, e forte capacità di adattamento (inteso come variazione di volume e di mix) come le piccole imprese, anche se entro determinati limiti.

La seconda evidenza è quella dell’atmosfera industriale, che rappresenta un complesso insieme di relazioni sociali ed economiche di natura informale, incontri favoriti dalla piccola dimensione aziendale (più informalità e meno burocrazia) e dalla vicinanza delle sedi di lavoro (più contatti diretti e personali); ciò ha contribuito anche a tenere bassi i prezzi dei costi di transazione, ovvero dei passaggi di beni e conoscenze da un’azienda interdistrettuale ad un’altra. Con la crescita delle dimensioni distrettuali la necessità di aumentare l’intensità ed il numero delle relazioni è stata quella che più ha contribuito all’introduzione delle innovazioni comunicative ed informative dell’ICT.

Infine i processi di apprendimento, che si distinguono in conoscenza di origine esterna, derivante da una continua interazione della realtà distrettuale con l’ambiente esterno, e conoscenza di origine interna, frutto del patrimonio genetico del Distretto.
La prima può essere identificata fondamentalmente con l’insieme delle conoscenze tecnologiche acquisite tramite l’innesto di prodotti e servizi, solitamente attività no core, ovvero non strettamente collegate col business aziendale.
Alla seconda, invece, appartengono le conoscenze di natura “operativa-esperienziale”, frutto della memoria storica dei processi produttivi e dell’interazione tra le diverse unità distrettuali.
Tale capacità si è rivelata la più importante fonte di vitalità economica dei DI almeno fino a quando il contesto competitivo in cui essi hanno operato è stato tendenzialmente statico e l’apprendimento adattativo, caratterizzato da un comportamento di tipo “stimolo-risposta” e basato su un processo di miglioramento incrementale dei prodotti, dei servizi, delle tecnologie e delle azioni di marketing.
Il miglioramento delle prestazioni richiesto dal processo di internazionalizzazione a fronte di una competitività crescente passa da un’accurata analisi e gestione dell’insieme di conoscenze e soprattutto da una risposta non più conseguenza dello stimolo, ma di una previsione

IL SETTORE INDUSTRIALE

Sembra che la formazione dei Distretti industriali abbia interessato prevalentemente alcuni settori produttivi piuttosto che altri, e in particolare quel settori in cui:

  • è sufficientemente limitato il fabbisogno di capitale fisso, cioè sono ridotti gli investimenti in impianti e attrezzature;
  • sono più scarse le economie di scala a livello di intero processo produttivo mentre possono realizzarsi a livello di singola fase;
  • è scarsa l’automazione del processo produttivo, si tratta infatti di produzioni in cui è forte la componente artigianale e manuale;
  • è elevata la quota di lavoro diretto erogata nel processo di produzione, sono cioè produzioni che richiedono un intenso fabbisogno di lavoro umano, cosiddette labour intensive;
  • l’innovazione e il progresso tecnico sono strettamente legate ad un processo di learning by doing, trattandosi di tecnologie di processo “mature”.

Nello specifico, i prodotti tipici realizzati nei Distretti italiani sono i beni di consumo durevoli per la persona (abbigliamento, calzature, occhiali, ecc.) e le materie prime relative (tessili, cuoio, pelli); i beni per la casa (mobili, ceramiche, vetri); le macchine che servono a produrre gli uni e gli altri beni. Si tratta di produzioni cosiddette tradizionali a tecnologia matura, caratterizzate da un elevato contenuto stilistico e fortemente soggette al fattore moda.
Dai punti sopra elencati sembrerebbe non esserci grande spazio per investimenti complessi, o comunque a costo medio alto; come descritto nel primo punto, gli investimenti sono ridotti. Di conseguenza, investimenti di informatizzazione, automazione e controllo dei processi sarebbe possibile solo in determinate condizioni.
Nei Distretti con impresa leader, quest’ultima ha la capacità capacità finanziaria di una grande azienda, e potrebbe sostenere un investimento rilevante; essa stessa ha notevole influenza e potere decisionale, diretto ed indiretto, nei confronti delle altre imprese del Distretto.
Nei Distretti con metamanagement sarebbero forse possibili interventi di ristrutturazione del Distretto, ma forse comporterebbe tempi lunghi, soprattutto se il consorzio è pubblico.
Un’ultima soluzione, possibile in tutte e tre le configurazioni che sono state mostrate precedentemente, è quella dell’interessamento, o comunque del coinvolgimento, di imprese private con sufficiente esperienza e di dimensioni adatte, che entrino a stretto contatto con il DI e che facciano da catalizzatore e motore propulsivo per l’introduzione delle giuste innovazioni.
E’ il caso che verrà illustrato nel seguito del lavoro, ovvero della impresa Unitec, dello strumento del Magazzino Virtuale e dei Sistemi di Supporto alle decisioni.

La Scelta dell'Internazionalizzazione ed il suo Nuovo Significato

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI MERCATI: LA MINACCIA

La competitività del Distretto, come dimostrato da numerosi casi reali, sembra oggi dipendere fortemente dalla sua capacità di internazionalizzarsi.
Infatti, dai primi Anni Novanta i mercati internazionali stanno vivendo una continua espansione e sovrapposizione, provocando una concorrenza fortissima tra tutte le imprese, a prescindere dalla loro localizzazione geografica.
In passato, le imprese italiane, ed in particolare le imprese collocate nei DI, hanno avuto significativi successi nella penetrazione dei mercati esteri.
La crescita delle esportazioni dei DI nei settori leggeri o tradizionali, a prescindere dalla crisi congiunturale attuale, testimonia insieme la vitalità competitiva delle imprese e la loro capacità di muoversi sui mercati internazionali.

Tuttavia, oggi, internazionalizzazione ed esportazioni non sono più sinonimi.

Il modo con cui l’impresa si mantiene internazionale nella generazione dei vantaggi competitivi non coincide solo con l’esportazione.

Da un lato esportare non basta più: l’impresa deve impegnarsi all’estero in forme più complesse della semplice commercializzazione del prodotto finito.
Dall’altro lato, esportare può essere non significativo o non essenziale per acquisire uno status internazionale, world class, nella competizione transnazionale in tutti quei casi in cui le esportazioni non bastano ad intercettare i vantaggi competitivi che si generano nelle diverse aree mondiali.
Imprese che esportano poco possono cioè avere uno standard competitivo internazionale, mentre imprese che esportano molto possono non averlo.

Nella loro accezione tradizionale i DI si configuravano come catena di fornitura locali, chiuse ad apporti esterni nelle fasi a monte, e fortemente internazionalizzate nelle fasi terminali, di vendita ed assistenza ai clienti. Finora, sono stati i prodotti finiti ad andare, attraverso le imprese dotate di reti commerciali internazionali, sui mercati esterni.
Le lavorazioni a monte e le competenze relative sono invece sedimentate localmente, alimentando la competitività dei produttori a valle.
Si trattava, in parole povere di un modello export oriented: un modello che rischia oggi di trovarsi nell’occhio del ciclone, se non si adegua alle nuove forme di produzione transnazionale del valore.

DAL MERCATO CAPTIVE A QUELLO MONDIALE

Se si vogliono conseguire i vantaggi relativi ai differenziali nazionali ed alla divisione internazionale del lavoro cognitivo occorre che le imprese distrettuali di subfornitura, che operano a monte, comincino a guardare a mercati più estesi di quelli garantiti dai loro committenti locali, e che i committenti, che operano a valle, amplino l’orizzonte delle esportazioni per articolare la presenza internazionale in modo più pregnante.

In altre parole, occorre che i DI, in quanto sistemi collettivi di azione, agiscano essi stessi come attori dell’economia internazionale in formazione.
Da ciò dipende, in gran parte, la possibilità dei modelli di successo italiani di sopravvivere alle nuove regole della concorrenza internazionale.
Proprio di fronte al caso dell’impresa distrettuale, il nuovo modo di vedere l’internazionalizzazione chiarisce che il discorso va condotto a due livelli: da un lato occorre vedere la dinamica complessiva del Distretto (la sua internazionalizzazione come sistema, attraverso i diversi anelli della catena del valore che lo compongono); dall’altro occorre vedere la posizione delle singole imprese.

Tradizionalmente le imprese distrettuali agiscono su un mercato captive (il mercato interno distrettuale) e lasciano a poche imprese specializzate la commercializzazione del prodotto e le decisioni di marketing (design e progettazione del prodotto, segmentazione del mercato, fascia di prezzo-qualità).
Il Distretto come catena complessiva può dunque essere internazionalizzato dal punto di vista dell’export e può riversare il valore generato dall’espansione del mercato finale sui subfornitori e fornitori interni.
Ma il grado di internazionalizzazione delle imprese che operano sul mercato captive interno è piuttosto limitato e ciò costituisce una delle ragioni di fondo della debolezza della catena.
Di fronte alle pressioni concorrenziali, anche se è buona – in alcuni casi – la tenuta del mercato finale, elementi di forte evoluzione investono le fasi a monte della catena e i mercati captive che hanno finora assicurato la coesione sistemica del Distretto.
La posizione dell’impresa distrettuale, rispetto al sistema-Distretto, è particolarmente importante nel momento in cui cambia la divisione interna del lavoro nel Distretto perché alcune imprese aprono alle relazioni esterne e al mercato internazionale, scavalcando i precedenti rapporti di complementarità interna.
L’organizzazione precedente rischia così di essere scompaginata, sotto la pressione di diversi fattori evolutivi, tra cui l’internazionalizzazione più accelerata di alcuni “anelli” della catena distrettuale.
Viene in questo modo al pettine la questione irrisolta di quel peculiare tipo di divisione del lavoro su basi locali che si è realizzata in Italia nel Distretto, in competizione con la grande impresa fordista ma anche, per alcuni aspetti ad imitazione dei modelli prevalenti di produzione fordista (integrazione verticale delle attività).
Nei Distretti, l’integrazione verticale non è proprietaria, ma si realizza attraverso una fitta rete di divisione del lavoro, sul mercato locale, promossa e regolata da meccanismi di coesione e scambio sociale invece che da meccanismi autoritativi.
Il Distretto ha così conseguito la maggior parte dei vantaggi ottenibili dall’integrazione verticale (in loco) delle attività, sia pure con qualche inconveniente dovuto alla difficoltà di programmare la catena della fornitura locale, insieme ai vantaggi della flessibilità, della varietà, della molteplicità delle intelligenze imprenditoriali messe al lavoro.

Ma ha conservato anche gli inconvenienti del modello integrato, che ricerca il mercato più esteso possibile per i prodotti finiti, mentre “internalizza” (in loco) le fasi e i servizi a monte.
Queste fasi e servizi che nascono dalla domanda locale non possono tuttavia essere a lungo confinati in questo ruolo captive rispetto alle esigenze dei committenti locali e divengono invece, ad un certo punto, anelli “deboli” della catena, man mano che le strategie dei committenti a valle puntano su altre localizzazioni e, probabilmente, su altre fonti di fornitura (proprie filiali che auto-producono componenti e macchine all’estero o nuovi fornitori, spesso “allevati” nei paesi di delocalizzazione.

I GAP DELLE IMPRESE DISTRETTUALI

I gap principali che il modello distrettuale mostra rispetto ai nuovi mercati:

  1. Le PMI non possiedono la stessa forza delle imprese di dimensione più grande, non possiedono le stesse quantità e qualità di informazioni, non hanno la disponibilità di mezzi della grande impresa, non ne hanno lo stesso potere contrattuale. In pratica non possono sfruttarne gli stessi vantaggi competitivi.
  2. Alcuni fattori che risultavano vincenti nel mercato nazionale non possono essere utilizzati direttamente sui mercati esteri; uno per tutti il fattore di localizzazione. Questo ultimo infatti è stato una condizione favorevole per far crescere l’attività della piccola impresa, assicurando un basso costo del lavoro, la disponibilità di specifiche informazioni, di conoscenze e di skills, ed un sentimento di appartenenza ad un più vasto ed omogeneo sistema socio-imprenditoriale, ovvero il Distretto. La localizzazione risulta fortemente indebolita dalla maggiore possibilità d’informazione e comunicazione che gli strumenti dell’ICT offrono.
  3. Inoltre, la carenza di infrastrutture adeguate e la limitata capacità della comunità e delle istituzioni di accompagnare gradatamente questi fenomeni di sviluppo sono un ulteriore handicap delle imprese distrettuali rispetto ad altre realtà aziendali.

L’IPOTESI DELLA COLLABORAZIONE E DELLA CONDIVISIONE PER SUPERARE I GAP

Ci sono almeno due campi di internazionalizzazione molto promettenti che devono essere esplorati al di là dell’export:

  • la distribuzione transnazionale delle diverse attività che compongono l’attuale catena del valore (varie fasi del ciclo, servizi), in modo da poter sfruttare a proprio vantaggio i differenziali nazionali specifici dei diversi paesi.
  • La partecipazione attiva a reti internazionali di divisione del lavoro nel campo della produzione ed utilizzazione della conoscenza.

Nel primo caso le imprese hanno un vantaggio decisivo se selezionano gli ambienti nazionali in funzione delle differenti caratteristiche di costo e produttività.
Date le differenze tra paesi, considerando anche i paesi newcomers a basso costo del lavoro, il massimo valore di ciascuna catena di produzione sarà ottenuto distribuendo le attività in modo da sfruttare i vantaggi relativi di ciascun paese in specifiche fasi della catena.
L’ottimizzazione della catena transnazionale veniva una volta fatta dalle multinazionali tramite le filiali direttamente controllate e sparse in tutto il mondo.

Oggi può essere fatta da tutte le imprese, anche piccole, attraverso lo sviluppo di reti di collaborazione internazionale o di servizi.

Nel secondo caso, le imprese acquisiscono un vantaggio decisivo perché si rendono capaci di utilizzare le conoscenze e gli “specialismi” accessibili in scala mondiale, invece che produrle in proprio, od in un ambiente vicino, ad alto costo e rischio.
La possibilità di entrare a far parte di una rete del genere permette all’impresa di specializzarsi in un sapere specifico, valorizzabile in scala mondiale, e di contare per tutto il resto sulla fornitura di tecnologie, competenze e lavorazioni da altre imprese con cui si è instaurato un rapporto di fiducia.

Un Primo Passo verso il Distretto Rete: il Magazzino Virtuale

UNA NECESSITÀ PRIORITARIA: ABBATTERE I COSTI

In questo lavoro di tesi si è voluto presentare uno strumento gestionale che potrebbe risultare di notevole importanza se applicato all’interno di un Distretto Industriale.

Questo strumento nasce da due esigenze reali:

  • la necessità di diminuire il peso delle scorte, per recuperare liquidità
  • il bisogno di diminuire principalmente le scorte dei materiali e componenti di manutenzione per gli impianti e le attrezzature delle imprese presenti nel comprensorio distrettuale.

L’esigenza di agire sul taglio dei costi di gestione delle scorte piuttosto che su di un aumento di produzione, ed ancor di più sui costi di approvvigionamento è di semplice e lineare logicità.
Nel settore industriale, i costi logistici sono dello stesso ordine di grandezza della Manodopera Diretta per i beni di basso valore unitario (ovvero per la quasi totalità dei beni prodotti nei Distretti). Ad esempio essi sono compresi tra il 5% ed il 20% nell’industria alimentare, tra il 10% ed il 12% nell’industria meccanica. Rispetto al capitale immobilizzato, il costo del magazzino si aggira attorno al 30% annuo.
Pertanto i costi logistici contribuiscono in modo significativo alla determinazione del costo complessivo di numerosi beni.

Questi capitali immobilizzati sono improduttivi, perché non generano ricchezza, ma anzi perdono valore per effetto dei fenomeni inflattivi; essi non possono essere utilizzati per altre attività che producano valore; spesso essi costituiscono un limite virtuale a nuovi investimenti produttivi; se quei capitali fossero disponibili eviterebbero parte dell’indebitamento presso terzi.

grafico2Il costo eliminabile dalle spese di gestione è notevole. Il mancato guadagno è decisamente elevato.
Si supponga, ad esempio, di avere un’impresa con struttura dei costi:

il 3% l’utile (in rosso),
il 37% i costi di gestione (tratteggiata),
e 60% i costi di MP e componentistica-(in bianco).

Se quest’impresa volesse aumentare del 2% il proprio utile soltanto incrementando la produzione, nelle ipotesi di mantenere invariata la struttura dei costi (fissi), senza tenere conto dell’ampliamento degli impianti, dovrebbe aumentare i suoi costi (solo variabili) del 67%.(Nota2) Facendo infatti una semplice proporzione,:

3% : 5% = 37% : x x (nuovi costi di gestione) = 37 * 5 / 3 = 62%
3% : 5% = 60% : y y (nuovi costi per MP e comp.) = 60 * 5 / 3 = 100%

Ovvero, se prima la nostra ipotetica impresa spendeva 98 per guadagnare 2, ora spende 162 per guadagnare 5, ovvero un aumento dei costi del 67%, ovvero un aumento del mercato ipotizzato, ma per nulla realistico, del 60%.
Si dovrebbero effettuare nuovi investimenti, aumentare l’indebitamento, aumentare i costi di materie prime e componenti, nuove assunzioni, elevato costo di manodopera, e così via.

La risposta, quindi, sembra essere una sola, ovvero agire sui costi di gestione; infatti un taglio del 2% sui costi di approvvigionamento e di gestione in generale, si tramuta quasi integralmente in un aumento della rendita.

Bisogna trovare la maniera più opportuna per abbattere questi costi. Le proposte possono essere le più svariate, quali ad esempio una piattaforma logistica condivisa a livello distrettuale, per abbattere i costi di gestione del magazzino oppure, come si vedrà più avanti, il Magazzino Virtuale, utile per ottenere un abbattimento delle scorte di sicurezza.

Tutte queste soluzioni hanno come punto comune la cooperazione tra le imprese del Distretto.
E’ palese che questa seconda soluzione sia da preferire di gran lunga a quella dell’aumento del fatturato. Ed è quello che si prefigge di fare lo strumento utilizzato in questo lavoro.

La seconda scelta effettuata è quella di agire su di un particolare tipo si scorta, ovvero quella dei materiali e componenti di manutenzione degli impianti e delle attrezzature.
In un’impresa manifatturiera esistono tre tipi di magazzini:

  • Magazzino Materie Prime e semilavorati (in entrata)
  • Magazzino Prodotti Finiti (in uscita)
  • Magazzino materiali e componenti di manutenzione

grafico3

Per le imprese distrettuali, di dimensioni medio-piccole, è molto difficile agire sulle scorte di primo tipo, in quanto molto legate alla committenza ed alle sue esigenze.
Sulle scorte di secondo tipo esistono già delle ipotesi di collaborazione interdistrettuale.

Le scorte di terzo tipo sono anch’esse di difficile previsione, in quanto è molto difficile sapere quando si romperà un martello, quando si romperà la punta di un trapano, o quando saranno inutilizzabili le lame di una fresa.

Ci sono diverse teorie statistiche che si occupano di questo problema.
I guasti di natura non casuale, si manifestano a seguito di fenomeni di degrado irreversibile la cui entità dipende dal tempo di funzionamento del componente. E’ questo il caso di componenti meccanici soggetti ad usura, fatica e corrosione o ad una combinazione di tali fenomeni. In questi casi si utilizzano funzioni di probabilità di tipo noto (principalmente Weibull).
I guasti di natura casuale hanno tasso di guasto costante nel tempo, e distribuzione esponenziale negativa.

Il problema però sorge se l’impresa che effettua questa analisi è una piccola o media impresa, che ha la necessità di dimensionare le sue scorte di manutenzione.
Un’analisi sulla rottura dei materiali di manutenzione non è fattibile in un’impresa distrettuale, di tipo medio piccolo, perché non dispone dei grandi volumi di dati necessari per queste analisi, che di conseguenza risultano impossibili o non convenienti economicamente. Inoltre bisogna avere anche del personale adatto per fare questo tipo di previsione, ed in imprese di tipo a volte piccolissimo di circa 10-15 persone è quantomeno improbabile che ci sia qualcuno che abbia le competenze sufficienti per farle.

La necessità è quella di mantenere il volume minore possibile delle scorte di materiali di manutenzione, senza mai andare sottoscorta per periodi lunghi.

Se, ad esempio, si rompesse il motore elettrico di una fresa di medie dimensioni, è alquanto improbabile che vi sia un motore di riserva; se quella fresa fosse un collo di bottiglia (bottle neck) della produzione, si potrebbe andare incontro al fermo impianti per tutto il periodo di fornitura più quello di installazione e collaudo.

Non avendo la possibilità di fare previsioni, bisogna agire in altro modo.

L’IMPRESA-RETE: CONDIVISIONE DI BENI ED INFORMAZIONI RIMANENDO PROPRIETARI

Riprendendo alcuni concetti espressi nella parte dedicata alla organizzazione del processo produttivo nel Distretto, bisogna ricordare come in quasi tutte le fasi di produzione di un bene o di una famiglia di prodotti, esistono una miriade di imprese che si occupano di quella fase, e praticamente sempre alla stessa maniera (come si vedrà nel prossimo capitolo, il passaggio quasi automatico di informazioni sulla produzione e sui metodi produttivi è una delle caratteristiche vincenti dei DI) .

Questo vuol dire che è altamente realistico che l’operaio dell’impresa A, utilizzerà la stessa tipologia di attrezzatura, se non proprio la stessa, dell’impresa B, C, E, J, K e così via.

Si faccia conto di essere un’impresa del Distretto del mobile imbottito.
La produzione dei mobili imbottiti è organizzata in tre fasi ben distinte che possono essere svolte in parallelo:

la preparazione di fusti, realizzata dai reparti di falegnameria interni o esterni all’impresa;
la modellazione del poliuretano, realizzata, internamente o esternamente, sia manualmente (su tavoli semimobili) sia in modo automatizzato attraverso sistemi automatizzati Cad – Cam;
il taglio dei rivestimenti (pelli o tessuti) e delle fodere.

Soltanto per le lavorazioni che riguardano esclusivamente la preparazione dei fusti nel comprensorio distrettuale ci sono 22 imprese, su di un totale di circa 300 imprese riconosciute (1999)
Altamura 6
Santeramo 4
Matera 4
Gravina di Puglia 6
Modugno 2
—————
Totale 22

Alcuni tipi di fusti FustiAAA sono di fascia ad alta qualità e necessitano di un particolare tipo di lavorazione, con specifici macchinari, che per esempio si chiameranno TagliaFustiAAA .
Le 22 aziende non hanno tutte quante disponibilità in ricambio, dato l’elevato costo dei componenti del macchinario.
Si possono verificare due scenari in caso di rottura:

l’impresa SoloFusti non ha a magazzino il componente di ricambio UtensileDeluxe del macchinario TagliaFustiAAA e deve attenderne la fornitura; se va bene, la consegna rientra nel lead time medio del fornitore, altrimenti chissà quanto si dovrà attendere e per quanto tempo si dovrà posticipare la produzione di FustiAAA;
L’impresa SoloFusti ha a magazzino UtensileDeluxe; ha comunque immobilizzato una parte consistente del capitale che sarebbe stato utilizzabile per altri investimenti o per coprire l’indebitamento.

Se per assurdo si mettessero insieme tutti gli UtensileDeluxe, presenti nell’area distrettuale, essi garantirebbero una disponibilità di gran lunga superiore al fabbisogno di sostituzione delle linee di produzione di tutte e 22 le imprese del Distretto.

grafico4

Chiamando con Mi (i =1..n) la parte delle scorte che ogni azienda mette in comune, ovvero a disposizione del MV, si avrà una capacità virtuale (di sicurezza) interdistrettuali pari ad MD.

grafico5

E’ proprio questa l’idea del Magazzino Virtuale.

Soltanto che, invece che mettere in comune il bene fisico in un magazzino centralizzato, si mette a disposizione l’informazione dello stesso nel sistema del Magazzino Virtuale e la possibilità di accesso ad altri che ne avessero temporaneamente bisogno.

Le aziende partecipanti trasmettono al gestore del Magazzino Virtuale le informazioni dei contenuti del magazzino aziendale che desiderano condividere nel Distretto, a sua volta il gestore genera un Magazzino Virtuale che contiene le descrizioni dei materiali, la quantità disponibile ed i tempi d’approvvigionamento.
In questo modo le imprese possono conseguentemente ridimensionare le proprie scorte in funzione della disponibilità del Magazzino Virtuale e delle necessità operative.

L’ UtensileDeluxe viene mantenuto nel Magazzino del Proprietario; egli continua a disporre del bene a suo piacimento. Qualora l’UtensileDeluxe in funzione dovesse andare in avaria, egli potrebbe sostituirlo immediatamente.
Allo stesso modo, se un altro produttore dovesse avere bisogno di sostituire l’UtensileDeluxe all’improvviso, egli potrebbe mettersi in contatto con il Magazzino Virtuale, che sa quali sono le disponibilità nell’area distrettuale, e scegliere quello a condizione più conveniente, dietro suggerimento del MV stesso.
L’UtensileDeluxe verrebbe messo immediatamente a disposizione di chi ne ha bisogno, ed il MV provvederebbe al reintegro del bene nel magazzino che lo ha prestato seguendo i tempi di un riapprovvigionamento ordinario.

 

grafico6

Fonte Unitec 2002

Inoltre, il magazzino che cede il bene verrebbe giustamente indennizzato per quel “prestito”, ed il Gestore del Magazzino Virtuale avrebbe diritto ad un compenso per il servizio reso.

Bisogna che sia ben chiaro che è possibile costruire un sistema del genere soltanto se si ha disponibilità alla collaborazione ed alla condivisione delle informazioni e dei beni.
Inoltre, data l’elevato numero di aziende presenti nel Distretto, si può applicare un principio base utilizzato nella progettazione dei sistemi complessi: il principio della non contemporaneità degli eventi, ovvero si può escludere statisticamente che lo stesso componente vada in avaria nello stesso momento in due aree differenti del sistema.
Se l’UtensileDeluxe va in avaria nell’impresa SoloFusti, è impossibile che vada in avaria in qualsiasi altra impresa dello stesso comprensorio.

Un esempio quotidiano del principio della non contemporaneità è la ruota di scorta, ne possediamo una anche se la nostra autovettura ne usa quattro, ma si esclude la possibilità di forare contemporaneamente più ruote.

In generale sarebbe possibile definire due profili utente “estremi” del MV, che si trovano agli opposti:

  • utilizzatore del servizio e basta; ovvero tutte le scorte vengono gestite dal MV, e quindi il MV diventa outsourcer degli approvvigionamenti, prendendo a carico anche le scorte ordinarie. In pratica l’utente paga merci e servizi di riapprovvigionamento, ma elimina i costi di approvvigionamento e magazzino
  • fornitore di beni per il MV, ovvero pone come sua attività principale quella di “prestare” beni al MV e quindi alle altre imprese distrettuali, ricavandone profitto

E poi c’è l’utilizzatore tipo che si servirà del MV per prendere beni quando ne ha bisogno e prestare la merce quando ne ha in sovrabbondanza.

I VANTAGGI DEL MAGAZZINO VIRTUALE

I vantaggi del Magazzino Virtuale sono principalmente quattro, cui se ne possono poi aggiungere altri accessori:

  1. aumento della liquidità finanziaria
  2. diminuzione dei costi di magazzino
  3. possibilità di forti sconti sulle merci acquistate
  4. migliore gestione degli approvvigionamenti
  5. aumento della disponibilità

La merce immagazzinata è un capitale immobilizzato; riducendo le proprie scorte in funzione della presenza delle stesse merci nel Magazzino Virtuale si ottiene un aumento di liquidità, e questo porta alla possibilità di nuovi investimenti, senza ricorrere all’indebitamento. Quando un’impresa decide di aderire al MV, il primo vantaggio che essa ne ha è quella di poter diminuire le scorte del 20% circa, eliminando le Scorte di Sicurezza. In seguito, con un maggior controllo delle scorte, sarà possibile procedere ad ulteriori riduzioni.

Inoltre gli stessi costi di immagazzinamento (affitto locali, costi energetici, sicurezza, MdO) possono essere decurtati se la riduzione delle scorte è significativa.

La possibilità di raggruppare un numero così elevato di acquirenti in una specie di cartello, crea la possibilità di trattare con i fornitori con maggiore potere di contrattazione. Di conseguenza è possibile definire a vantaggio del cartello condizioni quali prezzo, quantità, tempi, qualità della fornitura, che al piccolo acquirente non erano permessi. Si avrebbe, in altri termini, quella che si chiama la buyer aggregation.

Conoscere le quantità e le necessità di magazzino in tempo reale (DBMS), e nel corso dei mesi e degli anni (DSS), conoscere i lead time di approvvigionamento delle forniture, permette di gestire in maniera più efficace ed efficiente il magazzino.
E’ molto difficile prevedere le fluttuazioni dei valori di stock per piccoli magazzini indipendenti, ovvero quelli delle singole imprese, ma è relativamente più facile avere il controllo sull’andamento del magazzino distrettuale, poiché si avrebbe a che fare con numeri decisamente più grandi.
Se a questo si dovesse aggiungere un controllo preciso e puntuale sull’andamento storico (analisi delle serie storiche) del Magazzino Virtuale, si avrebbe un abbattimento notevole delle scorte di sicurezza (funzione anche della tipologia merceologica).

Infine, bisogna tenere conto del fatto che si avrebbe a disposizione, per l’utente del Magazzino Virtuale, un aumento notevole della disponibilità e della possibilità di scelta di materiali che altrimenti sarebbe molto difficile avere in magazzino normalmente.
Se ad esempio si dovesse verificare un particolare tipo di commessa, che non era mai stata preventivata, e che ha bisogno di una apparecchiatura speciale, ci sarebbe un’elevata probabilità che essa sia invece reperibile nel comprensorio distrettuale tramite il MV. Il suo proprietario forse l’ha resa disponibile perché la usa raramente, e quindi spera di ricavarne dell’utile rendendola disponibile per altre aziende.

Tutto questo meccanismo di razionalizzazione però, non può essere portato avanti a compartimenti stagni, ma tenendo conto dell’effetto sinergico di una ristrutturazione complessiva, anche graduale, ma complessiva della struttura distrettuale e mettere mano ai processi aziendali (Business Process Reengineering).

Vantaggi accessori al partecipare ad un Magazzino Virtuale sono:

  • eliminare gli overhead gestionali;
  • minimizzare i costi di struttura;
  • salvaguardare l’ambiente riducendo il traffico generato da trasporti di lungo percorso.

L’adozione del Magazzino Virtuale, quindi, permetterebbe di ridurre le spese gestionali (overhead gestionale). Infatti, spesso non si tiene conto del tempo che viene perso praticamente nella ricerca del materiale, nella sua scelta, nel suo acquisto, nel suo riapprovvigionamento. Senza parlare del tempo ulteriore che viene perso quando anche in una sola di queste fasi “amministrative” si vengono a creare degli intoppi. Spesso bisogna ricominciare tutto il processo daccapo. A questi tempi morti, se ne aggiungono altri ancora, perché non vengono sfruttati i moderni mezzi che la tecnologia mette a disposizione.
Questi tempi “d’ufficio” non sono gratuiti, ma vengono profumatamente pagati “indirettamente”, perché chi si occupa di questi passaggi burocratici non può essere operativo e dedicarsi a compiti a più alto valore aggiunto.
Se questi problemi venissero risolti, magari con il passaggio delle forniture ad un unico outsourcer degli approvvigionamenti, che sollevi gli operativi dai rapporti burocratici con i fornitori, si avrebbe un miglioramento immediato delle forniture, per tempi e qualità, ma anche di costo perché tutte le fasi di approvvigionamento “passivo” verrebbero eliminate.

E’ importante sottolineare come attraverso il Magazzino Virtuale si raggiunga anche il risultato inseguito più tenacemente dalle politiche d’Inventory Management, ossia la riduzione degli investimenti nel magazzino senza compromettere alla disponibilità delle scorte e quindi senza rischiare di perdere potenziali ordini.

Nella figura seguente viene rappresentata graficamente la quantità minima di materie prime (espressa in valore) che devono essere presenti in un magazzino gestito secondo i criteri tradizionali dell’Inventory Management, al di sotto della quale non è possibile scendere senza compromettere la continuità produttiva.

grafico28

Ciò significa che, diminuendo la quantità di scorte al di sotto del “minimum cost” indicato nel grafico, sarebbe possibile ottenere dei risparmi, a discapito, però, di crescenti costi dovuti alla perdita di potenziali vendite. Riducendo eccessivamente le scorte, d’altro canto, l’impresa diminuirebbe la sua capacità di produrre la quantità e la qualità della merce richiesta dal mercato (optimal service).
Nel grafico sono rappresentate le curve del costo di gestione del magazzino (stockholding costs), che risulta crescente all’aumentare delle disponibilità di scorte, e la curva dei costi derivanti dalla potenziale perdita di ordini (potential lost sales costs), la quale ha un andamento opposto rispetto alla curva precedente. La scelta ottimale sarà determinata dal punto minimo della curva del costo totale (in rosso), determinata dalla somma dei costi delle altre due.

L’adozione del Magazzino Virtuale modifica radicalmente lo schema appena illustrato.
Essendo la disponibilità delle materie prime costantemente assicurata in ogni momento dall’outsourcer di servizio, i costi delle potenziali mancate vendite, subiranno una certa diminuzione, che si tradurrà in un appiattimento della relativa curva.

 

grafico29

Allo stesso tempo la curva dei costi di magazzino tende ad abbassarsi, in conseguenza del fatto che la quantità di materie da immagazzinare diminuisce sensibilmente, proprio perché non è più necessario che la singola impresa del Distretto detenga fisicamente tutti i tipi di materie necessari a garantire la continuità produttiva.

grafico30

La combinazione dei movimenti delle due curve comporta lo modifica della posizione della curva del costo totale che si abbasserà e si sposterà verso destra.

grafico31

La Nuova Gestione della Conoscenza nei Distretti

PREMESSA

Il Magazzino Virtuale oggi è realizzabile grazie alle tecnologie di rete, la sua applicazione è possibile ovunque e rappresenta un altro passo verso la nuova economia.
La base del funzionamento del Magazzino Virtuale è rappresentata da una piattaforma software. L’outsourcer utilizza sistemi multipiattaforma aperta, vale a dire in grado di interscambiare dati con altri sistemi via Internet, Intranet o Extranet; che gli permette di avere a disposizioni informazioni in tempo reale da tutto il Distretto, ma anche di interfacciarsi continuamente con le imprese interessate.
Questo grazie alla gestione coordinata e globale dell’outsoucer esterno, cosi avremo ottimizzato le scorte e ridotto i costi di acquisti e approvvigionamenti mediante l’accesso a Sistemi Informativi interaziendali che, soprattutto per le PMI, possono rappresentare un’importante risorsa per aumentare la competitività nel mercato.
I Sistemi Informativi interdistrettuali devono avere, conservare e sfruttare la Gestione della Conoscenza che fino ad oggi è stata il punto di forza dei DI.
E’ per questo che, in questo capitolo, si è provato ad analizzare la Gestione della Conoscenza, così come è allo stato attuale, e si è provato ad indicare la strada per una nuova.
L’analisi di fattibilità del MV non può quindi prescindere dalla situazione attuale, nei vari DI.

LA CONOSCENZA SCAMBIATA NEI DISTRETTI

Particolarmente importante è il ruolo rivestito dalle imprese distrettuali nello sviluppo dei processi di creazione delle conoscenze; è su questo campo che si svilupperanno le scelte dello sviluppo del Decision Support System, tenendo conto di come le imprese scambiano conoscenza e quindi dati ed informazioni.
Questi processi possono essere ricondotti a due principali classi di apprendimento:

  1. apprendimento individuale, relativo alla dimensione della singola impresa
  2. apprendimento relazionale, afferenti alle dinamiche relazionali delle imprese distrettuali

Alla prima classe appartengono:

  1. Meccanismi trial & error (learning by doing, learning by using);
  2. Meccanismi di relazionamento sociale (learning by socializing); essi sono basati sulle interazioni face-to-face tra gli individui nello stesso contesto organizzativo con uno scambio di esperienze tecnico-operative e di ” visioni del mondo”
  3. Meccanismi per l’elevata specializzazione (learning by specializing); attraverso la ripetizione nel tempo di pratiche tecnico-produttive si riescono ad ottenere competenze focalizzate.

Alla seconda classe di apprendimento appartengono le relazioni instaurate dalle singole imprese distrettuali ed in particolare:

  1. Relazioni interimpresa; esse nascono per la scomposizione del processo produttivo tra le singole imprese, che si occupano delle diverse fasi operative. La specializzazione sulle singole fasi implica una complementarietà di differenti competenze specialistiche che porta le imprese ad un’intensa collaborazione per realizzare un efficiente coordinamento ed integrazione
  2. Relazioni col sistema sociale; il Distretto industriale ha solitamente un’ estensione geografica ridotta; l’elevata vicinanza e lo stretto e naturale scambio di informazioni tra lavoratori, che hanno rapporti interpersonali oltre il lavoro, rende più semplice lo scambio di conoscenze per via informale
  3. Relazioni con l’ambiente esterno al Distretto;

COME STA CAMBIANDO LA GESTIONE DELLA CONOSCENZA NEI DISTRETTI INDUSTRIALI

I Distretti industriali, però, si stanno evolvendo, ed i cambiamenti si presentano sotto diverse forme, anche quello dello scambio della conoscenza; il passaggio del sapere non può più essere affidato ai soli comportamenti casuali, naturali e spontanei, come accadeva ed accade ancora nei Distretti, principalmente in quelli di tipo tradizionale.

Questa nuova gestione della conoscenza, necessaria per affrontare la internazionalizzazione, si accompagna al riammodernamento di processi conoscitivi vecchi quanto i Distretti stessi, e che ne hanno costituito la base principale per il loro successo.
In particolare, le conoscenze “pratiche” costituiscono il sub-strato fondamentali per il learning by doing ed il learning by using che, combinati con i processi di socializzazione tra i soggetti imprenditoriali interni al Distretto, ha generato una capacità innovativa diffusa fintanto che il contesto di azione delle imprese è stato statico, del tipo “stimolo-risposta”.
L’insieme delle conoscenze pratiche, presentandosi fondamentalmente come somma di conoscenze individuali fondate su di un know-how non codificato, si sviluppa in ambito operativo, ed influenza le modalità e le capacità operative.
Ne consegue che le conoscenze pratiche assumono per i DI una rilevanza strategica per il potenziamento delle performance aziendali e quindi il miglioramento delle prestazioni dovuto al processo di internazionalizzazione a fronte di una competitività crescente, passa da un’accurata analisi e gestione della conoscenza che da tacita ed implicita deve esplicitarsi ed essere codificata.

Più specificatamente occorre osservare che negli ultimi anni sono aumentati:

  • l’importanza dei fattori non di prezzo, quali la qualità, la sicurezza, l’ergonomia e lo stile
  • la necessità di anticipare strategicamente la domanda a causa della elevata dinamicità dei mercati internazionali

Quindi nei Distretti più dinamici, in concomitanza ad una ristrutturazione dei network di imprese, si è manifestata una tendenza ad attuare un controllo dei processi innovativi. In particolare, è riscontrabile una più attenta gestione delle conoscenze tecnico-produttive e commerciali al fine di attuare politiche di penetrazione e consolidamento nei mercati, attraverso l’offerta di un mix di prodotti e servizi mutevoli e di elevata qualità, che incontri la domanda potenziale dei mercati.

Nel primo caso di cambiamento (cfr.vedi capitoli precedenti), in cui il Distretto si affida alle imprese esterne per la distribuzione sui mercati internazionali, sono di fondamentale importanza, per l’attivazione dei meccanismi di apprendimento interni all’area distrettuale, i flussi informativi relativi alle caratteristiche dei mercati che dall’esterno si devono muovere verso l’interno del Distretto (feedback di ordini, marketing, personalizzazione dei prodotti). Le strategie commerciali e produttive devono essere basate sulla capacità di acquisire e selezionare le informazioni e conoscenze esogene al Distretto e successivamente di raffrontarle ed integrarle con quelle endogene.

Nel secondo caso assumono grande rilevanza tutti quei processi di gestione della conoscenza volti a facilitare il trasferimento delle conoscenze produttive dal contesto distrettuale, in cui si sono sviluppate, verso le nuove aree di insediamento; inoltre bisogna essere in grado di traslare le giuste routine di apprendimento verso il nuovo contesto.

L’EVOLUZIONE POSSIBILE: LA NUOVA GESTIONE DELLA CONOSCENZA

La rottura della catena internazionale basata sulle relazioni interne al Distretto determina una situazione squilibrata per le diverse categorie di imprese presenti: le imprese che hanno acquisito un’autonoma capacità di relazione con l’esterno possono approfittare della situazione per impostare una diversa divisione del lavoro, che utilizza risorse e competenze esterne poste in concorrenza con i tradizionali fornitori o acquirenti distrettuali.
Le imprese che invece non hanno acquisito un’autonoma capacità di relazione con l’esterno si trovano a perdere fornitori e sbocchi tradizionali, oppure si trovano a competere con concorrenti esterni più forti, che non possono essere più esclusi dal mercato grazie alla specificità delle competenze e forniture accessibili all’interno del Distretto.
Ci si trova dunque di fronte, in questo momento, ad una divaricazione tra imprese e ad un conflitto di interesse che può seriamente minare la base di cooperazione che ha retto finora.
Si tratta tuttavia di un normale percorso evolutivo, contrassegnato da crisi che possono essere foriere di nuove forme organizzative. Il Distretto, come formazione complessa, deve in parte decomporsi per poter ricostruire le sue catene del valore e i suoi schemi di divisione del lavoro.

Ci sono diverse possibilità di uscire evolutivamente da una situazione di scollamento della sincronia e coerenza interna:

  • lo sviluppo di funzioni di leadership da parte di imprese capofila che “traghettino” anche imprese associate verso schemi che, nel mentre stringono i legami interni tra un gruppo selezionato di partners, prevedano una dilatazione delle relazioni di Distretto verso l’esterno e verso nuove imprese di origine esterna;
  • la crescita di autonomia relazionale da parte di imprese finora attestate sul mercato captive, magari avvalendosi di reti o rapporti di cooperazione con altre imprese;
  • la ricerca di vocazioni e competenze specialistiche che siano utili non solo nella rete interna al Distretto ma in una logica di divisione del lavoro più estesa.
  • la formazione di istituzioni locali che diano una “testa” al Distretto, in modo da mantenere elevato, in questo momento di ridefinizione delle strategie, il livello di condivisione e di comunicazione, chiarificando le alternative strategiche aperte.

Queste e altre possono essere le strade per modificare il reticolo relazionale delle singole imprese in modo da essere partecipi di una ridefinizione del Distretto in senso territorialmente più esteso.
Tuttavia, quello che deve mutare, è il modo di lavorare, l’atteggiamento culturale che le imprese adottano all’interno del sistema Distretto.
Allo stesso modo con cui il grande sistema gerarchizzato della tradizione fordista si rompe in molte business units autonome, ciascuna delle quali cerca un proprio rapporto col mercato e con partners esterni, sviluppando una missione specifica e competenze più esclusive e focalizzate, nel Distretto le diverse unità (imprese) devono accrescere il proprio patrimonio di conoscenza e di relazioni, senza demandarlo più al sistema complessivo (ossia ad altre imprese del mercato captive).
Questo comporta notevoli cambiamenti nella logica che presiede allo sviluppo di ciascun impresa:

  • accrescimento dell’intelligenza “in linea”;
  • reversibilità delle relazioni;
  • formalizzazione dei linguaggi e delle procedure operative, per aderire a comunicazioni e relazioni a distanza;
  • professionalizzazione del lavoro, ai vari livelli, per governare relazioni e competenze maggiormente formali;
  • investimenti e rischi crescenti in risorse immateriali;
  • dipendenza da servizi specializzati localizzati anche fuori del Distretto.

Questa trasformazione è il passaggio necessario per avere anche una diversa internazionalizzazione delle imprese, che potrà essere maggiormente articolata rispetto al modello della pura esportazione del prodotto finito o della vendita di macchine e componenti.
La questione da porre è quella di non “svendere” le competenze e i vantaggi del Distretto, ma di espandere il tessuto relazionale interno facendogli perdere i suoi caratteri captive e la sua ristrettezza geografica. Si tratta di innescare reti globali su un nucleo portante ancora valido di competenze e di cicli localizzati nel Distretto, che può divenire il punto focale di relazioni estese verso l’esterno.
In questo senso la variabile strategica non è più né l’esportazione di merci (che non favorisce le alleanze con partners esteri), né l’esportazione di macchine o componenti (che trasferisce le conoscenze senza radicamento delle relazioni); ma è la formazione di canali di scambio regolato delle conoscenze e di accumulazione congiunta di nuove conoscenze. L’ingresso in rete di nuovi partners (anche esteri) deve essere visto anche come un’occasione di apprendimento: ci sono nuovi mercati e nuove competenze che, scambiandosi con quelle tradizionali del Distretto, possono aprire nuovi business, esplorare nuovi bisogni, suggerire nuovi prodotti e nuove utilizzazioni dei prodotti tradizionali.
Solo in questo modo l’evoluzione verso l’esterno, che è inevitabile, potrà non essere un momento di impoverimento del Distretto, ma innescarne un’evoluzione verso varietà e competenze non ancora esplorate.

I FATTORI SFAVOREVOLI ALLA NUOVA GESTIONE DELLA CONOSCENZA

La Federcomin ha effettuato uno studio sui Distretti industriali a livello nazionale, col supporto del Censis. L’analisi si è basata su questionari sottoposti a vari responsabili delle aziende operanti nei DI.

Entrando più nel dettaglio, dalle risposte emerge, infatti, una scarsa diffusione di imprese distrettuali che stanno innovando i loro sistemi decisionali ed i loro processi organizzativi con una incidenza di aziende non superiore al 10% del totale delle imprese.
Va meglio rispetto alla diffusione di imprese che utilizzano sistemi di Customer Relationship Management, come pure rispetto allo sviluppo iniziative di Supply Chain Management.

INIZIATIVE DI BUSINESS INTELLIGENCE
Non ci sono esperienze significative in corso 52,5
Il numero di esperienze è modesto < 10% 45,0
Il numero di esperienze è discreto >10% <30% 2,5
Il numero di esperienze è elevato >30%

 

INIZIATIVE DI CRM
Non ci sono esperienze significative in corso 45,0
Il numero di esperienze è modesto < 10% 42,5
Il numero di esperienze è discreto >10% <30% 10,0
Il numero di esperienze è elevato >30% 2,5

 

INIZIATIVE DI ERP
Non ci sono esperienze significative in corso 31,7
Il numero di esperienze è modesto < 10% 48,8
Il numero di esperienze è discreto >10% <30% 19,5
Il numero di esperienze è elevato >30% 4,0

 

INIZIATIVE DI SUPPLY CHAIN Mgmt
Non ci sono esperienze significative in corso 45,0
Il numero di esperienze è modesto < 10% 45,0
Il numero di esperienze è discreto >10% <30% 10,0
Il numero di esperienze è elevato >30%

 

INZIATIVE DI IT CONSULTING
Non ci sono esperienze significative in corso 33,0
Il numero di esperienze è modesto < 10% 48,8
Il numero di esperienze è discreto >10% <30% 17,9
Il numero di esperienze è elevato >30% 3,6

Nonostante le difficoltà, nei Distretti e nelle altre aree dove si individuano ispessimenti di insediamenti produttivi si evidenzia una ampia presenza di iniziative comuni fondate sullo sviluppo di applicazioni tecnologiche.

In gran parte dei Distretti si stanno avviando o almeno progettando nuove attività e nuove applicazioni tecnologiche fondate sull’uso condiviso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nel 36% dei Distretti si rilevano, così, siti web comuni nati da iniziative di imprese locali, finalizzati in qualche misura alla promozione della relazionalità interaziendale, allo scambio controllato di informazioni per la ricerca di clienti e fornitori e per formare gruppi di acquisto.

Alcune delle esperienze più significative o più avanzate come ad esempio lo sviluppo e la condivisione di software applicativi per ottimizzare prodotti e processi aziendali comuni risultano ancora marginali essendo presenti iniziative del genere già avviate in poco più di un Distretto su dieci.

Per chiarire il senso delle iniziative realizzate o progettate è stato chiesto agli interlocutori dei Distretti, quale fosse la finalità principale delle varie iniziative di IT.

  1. Dalle risposte emerge come le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione siano considerate essenzialmente come un insieme di strumenti fondamentalmente diretti a migliorare le capacità di comunicazione delle imprese verso l’esterno. La necessità di costruire reti esterne al sistema distrettuale sembra essere lo scopo principale delle iniziative tecnologiche sin qui avviate essendo la funzione della comunicazione segnalata nel 59% dei Distretti.
  2. Presente anche la finalità di favorire i contatti e gli scambi di informazioni tra le aziende segnalata dal 31% delle imprese dei Distretti.
  3. L’innovazione introdotta dalle tecnologie e dalle applicazioni di comunicazione digitale viene solo debolmente percepita come leva in grado di reingegnerizzare le imprese o rinnovare i modelli gestionali o ancora in grado di riorganizzare i processi produttivi con un coinvolgimento sempre maggiore di attori esterni all’impresa.

Le concrete realizzazioni sono ancora essenzialmente centrate sulla dimensione comunicativa rivolta verso l’esterno.

Altri dati interessanti:

BANCHE DATI COMUNI
Nessuna iniziativa a riguardo 45,3
Avviate 21,4
In progetto 33,3

 

SVILUPPO E CONDIVISIONE DI SOFTWARE
Nessuna iniziativa a riguardo 60,5
Avviate 13,2
In progetto 26,3

Ho ritenuto importante riportare e rivalutare i dati seguenti; le lettere in maiuscolo alla fine del rigo sono la simbologia che ho adottato per quelle risposte che ritenevo fossero affini tra loro.

Finalità delle iniziative avviate o in progetto (val. %)

  • Migliorare capacità di comunicazione imprese verso l’esterno59,0 A
  • Favorire contatti e scambi di informazioni tra le aziende 30,8 B
  • Creare sistemi informativi comuni per sviluppo marketing 15,4 C
  • Creare sistemi informativi comuni per sviluppo logistica 17,9 D
  • Consolidare logistica globale merci e informazioni prodotti 12,8 D
  • Utilizzare banche dati 17,9 B
  • Fornire assistenza tecnologica 12,8 E
  • Formazione professionalità legate allo sviluppo tecnologie 17,9 E
  • Realizzare modalità di commercio elettronico 20,5 F
  • Permettere la nascita di sistemi veloci di subfornitura 30,8 D
  • Sviluppare modalità di e-commerce tra imprese 43,6 B

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte
La nota importante che penso di poter rilevare è la presenza, in questi dati, di un altro tipo di lettura, legato ad una diversa aggregazione dei dati su 279.4% totali.

  • SA Migliorare rapporti con l’esterno 21%, ed è alquanto generica come risposta.
  • SB Sistemi Informativi in comune + e-commerce interaziendale 33%
  • SC Sistemi Informativi in comune per il marketing 5.5%
  • SD Sistemi informativi in comune per la logistica 22.5%
  • SE Formazione e sviluppo di nuove tecnologie 11%
  • SF e-commerce 7.3%

Ciò che mi sembra di leggere nella ricerca di nuove tecnologie è che le aziende dei Distretti vogliono scambio di informazioni più di ogni altra cosa con un peso di circa il 61% (Sistemi Informativi), con particolare attenzione alla logistica, al marketing ed all’e-commerce interaziendale (B2B).

La Federcomin analizza anche i motivi che ostacolano lo sviluppo delle nuove tecnologie nei Distretti.
Il contenimento delle spese di investimento per l’innovazione tecnologica non è il principale fattore che limita lo sviluppo a livello locale di iniziative di innovazione tecnologica di rete.
Solo il 15% degli intervistati considera il fattore costi come uno dei principali ostacoli all’avvio di attività, al contrario per circa il 60% degli intervistati i costi non incidono per nulla o comunque in misura poco rilevante nelle decisioni di avviare o meno iniziative fondate sull’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Gli ostacoli principali all’introduzione dell’innovazione sono però esterni alla dimensione costi.

Nel 52% dei Distretti vi è da superare la difficoltà di condividere le informazioni con i concorrenti, come pure incide fortemente, con una percentuale addirittura più elevata essendo pari al 55% la paura di perdere, introducendo nuove tecnologie condivise, la propria autonomia di gestione.
Le nuove tecnologie vengono quindi considerate come fattori in grado di stravolgere il normale rapporto competitivo anche all’interno della dimensione di Distretto sottraendo vantaggi alle aziende.
L’uso di piattaforme tecnologiche comuni, la condivisione di informazioni rappresentano un pericolo non solo perché potrebbero avvantaggiare la concorrenza ma anche perché rischiano di far perdere all’azienda la propria autonomia gestionale asservendola a modelli di lavoro eterodiretti, imposti dalla piattaforma tecnologica o peggio ancora da concorrenti forti o da fornitori e clienti in grado di imporre i cambiamenti organizzativi.
La consapevolezza di queste problematiche sottende dunque ad un atteggiamento di prudenza quando non di sfavore verso uno sviluppo di sistemi di rete tra aziende.
La scelta di avviare iniziative comuni dipende fondamentalmente o dalla presenza di una impresa forte nel territorio che opera in una logica distrettuale in cui i rapporti tra aziende risultino di tipo gerarchico, in grado cioè di imporre modelli relazionali o da un elevato livello cooperativo tra imprese paritarie, abituate ad operare in una logica di piena collaborazione.
Anche la difficoltà di reperimento di risorse umane qualificate viene evidenziata con forza come problema che ostacola la crescita dell’innovazione. Il problema del reperimento risulta molto o abbastanza rilevante nel 52% dei Distretti.
Si tratta di un ostacolo di non poco conto dal momento che tutte le attività di sviluppo di sistemi e applicazioni fondati sulle nuove tecnologie devono poter contare sulla disponibilità di capitale umano qualificato; lo skill shortage, ossia la carenza di figure professionali nell’ambito delle attività ICT , è dell’ordine di almeno 200 mila persone nei prossimi due anni. Il problema nei Distretti già emerge, dunque, in modo netto.
Le aziende però non sono disposte a sobbarcarsi gli oneri per la formazione e proprio per questo il fattore costi di formazione non viene considerato dagli interlocutori dei Distretti e dei localismi come un problema importante.
Le Pmi italiane in genere non prevedono di sostenere spese per la formazione, si tratta di un costo rispetto al quale è radicata l’idea che deve essere sostenuto da soggetti esterni al mondo imprenditoriale.

I COSTI DI INVESTIMENTO TROPPO ELEVATI
Per nulla rilevante 4,0
Poco rilevante 55,3
Rilevante 25,5
Abbastanza rilevante 12,8
Molto rilevante 2,1

 

DIFFICOLTÀ DI CONDIVIDERE INFORMAZIONI CON I CONCORRENTI
Per nulla rilevante 2,9
Poco rilevante 10,9
Rilevante 34,7
Abbastanza rilevante 26,1
Molto rilevante 28,3

 

IMPULSO DELLE AZIENDE A CONSERVARE UN’AUTONOMIA DI GESTIONE
Per nulla rilevante 2,2
Poco rilevante 4,3
Rilevante 30,4
Abbastanza rilevante 37,0
Molto rilevante 26,1

 

DIFFICOLTÀ DI REPERIMENTO DI RISORSE UMANE QUALIFICATE
Per nulla rilevante 8,3
Poco rilevante 12,5
Rilevante 27,1
Abbastanza rilevante 25,0
Molto rilevante 27,1

 

I COSTI PER LA FORMAZIONE DELLE RISORSE UMANE
Per nulla rilevante 5,6
Poco rilevante 47,9
Rilevante 35,4
Abbastanza rilevante 12,5
Molto rilevante 4,2

Le considerazioni fatte sulla base delle analisi della Federcomin, portano ad approfondire l’analisi della potenzialità della Nuova Gestione della Conoscenza per i Distretti su Logistica e Marketing in comune.

Progettazione del Database per il Magazzino Virtuale

PROGETTARE IL DATABASE

Nell’ambito delle basi di dati, si è consolidata negli anni una metodologia di progetto che ha dato prova di soddisfare i requisiti che una metodologia per basi di dati deve garantire:

  1. le generalità rispetto alle applicazioni ed ai sistemi in gioco ( e quindi la possibilità di utilizzo indipendentemente dal problema allo studio ed agli strumenti a disposizione); è un requisito essenziale per la progettazione di un database ad uso del Magazzino Virtuale, che deve essere utilizzato in diversi Distretti Industriali;
  2. la qualità del prodotto in termini di correttezza, completezza ed efficienza rispetto alle risorse impiegate;
  3. la facilità d’uso sia delle strategie sia dei modelli di riferimento.

Abbiamo tre fasi di progettazione:

  • Progettazione concettuale. Il suo scopo è quello di rappresentare le specifiche informali della realtà di interesse in termini di una descrizione formale e completa, ma indipendente dai criteri di rappresentazione utilizzati nei sistemi nei sistemi di gestione delle basi di dati. Il prodotto di questa fase viene chiamato schema concettuale e fa riferimento ad un modello concettuale dei dati. In questa fase ci si concentra sull’aspetto informativo della base di dati.
  • Progettazione logica. Consiste nella traduzione dello schema concettuale, nel modello di rappresentazione dei dati adottato dal sistema di gestione di base di dati a disposizione. Il prodotto di questa fase è lo schema logico della base di dati e fa riferimento ad un modello logico dei dati. Essa è ancora indipendente da dettagli fisici. In questa fase si effettua anche un controllo di qualità del prodotto, con la normalizzazione.
  • Progettazione fisica. Tale modello dipende dallo specifico sistema di gestione basi di dati scelto e si basa sui criteri di organizzazione fisica dei dati in quel sistema.

Ora si illustreranno le diverse fasi di progettazione di basi di dati, adattate all’implementazione del Magazzino Virtuale.

LA PROGETTAZIONE CONCETTUALE: IL MODELLO ENTITÀ-RELAZIONI

In questo tipo di progettazione si utilizzano tre figure di rappresentazione fondamentali:

  • Entità; rappresentano classi di oggetti (fatti, cose, persone, ad esempio) che hanno proprietà comuni ed esistenza “autonoma” ai fini dell’applicazione di interesse. Una occorrenza di un’entità non è un valore che identifica un oggetto, ma l’oggetto stesso.
  • Relazioni; rappresentano i legami logici, significativi per l’applicazione d’interesse, tra due o più entità.
  • Attributi; costituiscono le proprietà elementari di entità o relazioni che sono di interesse ai fini dell’applicazione.

grafico7

IL MODELLO ENTITÀ-RELAZIONI PER IL MAGAZZINO VIRTUALE

Prima di ricorrere allo schema E-R, bisogna comprendere bene i processi operativi del MV.
In questo modo, ogni singola operazione, rilevante ai fini del funzionamento del MV e della sua operatività, deve essere descritta da Entità o Relazioni.
Il processo operativo principale, gestito direttamente dal Magazzino Virtuale, è quello che permette di rifornire i magazzini distrettuali che hanno terminato la scorta di un bene per la manutenzione ed hanno urgente bisogno di un riapprovvigionamento, magari perché si è verificato un guasto improvviso o si sono calcolati male i tempi di approvvigionamento normale, e quindi non è possibile attendere il reintegro da approvvigionamento ordinario. Nel caso in cui il magazzino reale prevedesse di non farcela fino al successivo approvvigionamento ordinario, emette una richiesta al MV, dopo averne visionato la eventuale disponibilità sul sito operativo del Magazzino Virtuale.
Ad esempio, quello che l’utente può visionare sul sito operativo del MV è una tabella come quella che segue.
Se l’utente immette il codice commerciale del prodotto o la sua descrizione, egli potrà visionarne la disponibilità e comprendere se corrisponde alle caratteristiche richieste tramite una tabella così impostata:

Articolo Descrizione Costo Quantità
Disponibile
006012-8201 Dischi spingitori su sfere 100 10
115U6ES981OJA11 Filtro per PLC Siemens 200 30
1234556-111 Stylus allocation gauge 450 10
445ff6677-77 Motore autofrenante Siemens Nr.XXX 50Hz
380V 0,42° per commander 978
550 5
1234567-123 Rigeneratore tornio TagliaFustiAAA 50Hz, 380V 350 5

Selezionando “preleva” avvia il processo di richiesta e da quel momento in poi deve solo attendere che il materiale gli venga consegnato.

Un’altra azione tipica per l’utente è quella di rendere disponibile un componente o del materiale di manutenzione in genere.
Tutto il materiale che egli vorrà rendere disponibile al resto degli utenti distrettuali verrà immesso in una tabella simile a quella precedente.

Vediamo quali sono i passaggi fondamentali e cosa viene generato a livello macchina.
L’utente richiederà tramite una particolare maschera uno specifico tipo di materiale in una determinata quantità. Egli, inconsapevolmente ha formulato una “query”, ovvero una richiesta di informazioni, alla tabella delle “giacenze virtuali”; la risposta ottenuta genererà una tabella come quella precedente, con la eventuale quantità disponibile.
La tabella su cui sono disponibili le informazioni richieste contiene anche i dati relativi a chi possiede il bene disponibile e varie altre informazioni su la sua azienda, affidabilità, ordini precedenti; in altre parole la sua “storia” nei rapporti col MV. E’ importante mettere in evidenza che tutti questi dati “personali” sono accessibili solo al MV e non agli utenti, per ovvi motivi commerciali.

Una volta effettuata la richiesta potrebbe risultare disponibilità multipla, ed allora nella risposta generata verranno visualizzate le diverse disponibilità ed i diversi prezzi.
Starà all’utente scegliere la fornitura più adeguata in base al prezzo ed alla quantità offerta.
L’ultimo passo è quello dell’emissione della bolla, completa di tutti gli identificativi necessari per identificare la commessa, i suoi tempi e la sua qualità.
Il Magazzino Virtuale svolge un ruolo lineare, ma le informazioni ottenute con queste semplici informazioni sono incredibili e potranno essere utilizzate nel Datawarehouse.

 

grafico8

Il passaggio allo schema Entità Relazioni è semplice, e riflette in maniera non sequenziale nel tempo il processo logico del MV.

Nello schema seguente sono riportate le Entità e le Relazioni.
Subito dopo, in riferimento alle stesse, vengono esposti i singoli attributi delle entità e delle relazioni, che permetteranno di individuare con completezza le occorrenze delle stesse.

 

grafico9

I numeri tra parentesi, a fianco di ogni relazione, non sono altro che le cardinalità, e descrivono il numero minimo e massimo delle entità che possono partecipare alle relazioni.

Esse possono essere:

  • Relazioni uno ad uno, per cui alla relazione partecipa una singola occorrenza di entità per volta e per entrambe.
  • Relazioni uno a molti, per cui alla relazione per una singola occorrenza di entità di una delle due partecipanti svariate occorrenze dell’altra.
  • Relazioni molti a molti, per cui vale anche il viceversa della precedente.

Ad esempio, nel caso dell’entità “magazzino che richiede”, alla relazione emissione richiesta” possono anche non partecipare tutti i magazzini, e quindi la presenza minima è “0”, mentre ogni richiesta emessa fa riferimento ad uno ed un solo magazzino, e quindi la cardinalità massima è “1”, per l’entità “magazzino che richiede”, nella suddetta relazione.
Nel caso invece della richiesta, ogni singola è stato emesso da un singolo magazzino, quindi il minimo è “1”, mentre più richieste possono essere emesse dal medesimo magazzino, da cui cardinalità massima “N”.
Infine, bisogna ricordare che una cardinalità minima pari a “0” indica che la partecipazione alla relazione è parziale, ovvero l’occorrenza può o non può partecipare alla relazione.
Invece, una cardinalità minima maggiore di “0” indica una partecipazione totale, ovvero c’è dipendenza esistenziale, e ciascuna entità partecipa alla relazione.

Nel diagramma precedente, come detto, mancano gli attributi.
Gli attributi della “richiesta” devono contenere:

  • Identificativo della richiesta
  • Identificativo del magazzino che richiede
  • Identificativo del prodotto richiesto
  • Descrizione del prodotto richiesto
  • Quantitativo richiesto

Per identificare la singola occorrenza dell’entità, basta conoscere l’identificativo della richiesta.

 

grafico10

Gli attributi della giacenza presso i magazzini ed i trasportatori, per ogni tipologia di prodotto, saranno identificati da:

  • Identificativo magazzino
  • Identificativo prodotto (univoco per tutto il Distretto)
  • Descrizione prodotto

che sono identificatori esterni perché vengono dalla relazione della giacenza con la richiesta di fornitura. L’unico attributo proprio dell’entità è la quantità disponibile.

 

grafico11

Stessa cosa dicasi per le giacenze rilevabili presso i trasportatori.
Le occorrenze saranno identificate univocamente dall’identificativo prodotto e della sua descrizione, insieme a quello del magazzino e formano la chiave primaria, ovvero sono attributi che insieme identificano univocamente la disponibilità; da notare che l’identificativo prodotto da solo non basta, perché bisogna mantenere come chiave anche le caratteristiche tecniche del prodotto.

Una volta arrivata la richiesta, dopo aver verificato le giacenze, si controllano le caratteristiche accessorie del magazzino, quali posizione, giacenza massima nominale, proprietario e si inseriscono nella documentazione scritta della bolla.

 

grafico12

Stesso discorso è fattibile per le caratteristiche dei trasportatori.

grafico13

Una volta effettuate le operazioni precedenti, e verificato che tutti gli attori del processo siano disponibili, il MV può emettere la bolla.
Da notare che l’inserimento della data di consegna viene posticipata alla effettiva consegna, ed inoltre bolla e richiesta di fornitura hanno due valori di identificazione differenti perché è possibile che il quantitativo di merce sia differente.

grafico14

Il Magazzino Virtuale potrebbe avere anche il compito di scegliere il percorso ottimale per il trasportatore, in base alle caratteristiche del mezzo, della viabilità e del grado di affidabilità del trasportatore, in rapporto all’importanza ed urgenza della consegna.

UN PROBLEMA DA RISOLVERE

Un problema rilevante alla realizzazione del database del Magazzino Virtuale riguarda la identificazione dei prodotti che l’utente cerca.
Nell’ER si è rappresentato il bene richiesto con un codice ed una descrizione; in realtà esiste una questione di fondo.

Ogni prodotto ha un suo identificativo, un codice che, in teoria, dovrebbe permettere di identificare univocamente il bene. Così avviene infatti alla fonte, ovvero quando il bene viene ultimato gli viene assegnato un codice commerciale univoco per l’azienda produttrice, e quello dovrebbe essere mantenuto dalle aziende che acquistano quel bene, in maniera tale da permettere di richiedere facilmente assistenza e componenti di ricambio.

Purtroppo, esistono gli intermediari tra produttore ed utente finale.

L’intermediario, che può ad esempio essere l’installatore, aggiunge un suo codice personalizzato che sovrappone ed elimina quello del produttore, rendendo l’impianto, il macchinario od il pezzo irrintracciabile per il cliente, se non tramite l’intermediario.
L’intermediario ha quindi acquisito una posizione privilegiata ed irrinunciabile per il cliente, tanto più forte quanto più quel bene è particolare.
Questo gli permette di gonfiare prezzi e manutenzione di cui, in pratica, detiene un monopolio reale.

Un vantaggio derivante dall’adesione al progetto di Magazzino Virtuale è quello di avere la pulizia di queste chiavi di identificativo prodotto ed ottenere una identificazione univoca almeno a livello distrettuale. Il risparmio sull’acquisto, che sarebbe possibile effettuare direttamente dal costruttore e ad un prezzo certamente inferiore, è inequivocabile.

PROGETTAZIONE LOGICA

L’obiettivo della progettazione logica è quello di costruire uno schema logico che possa descrivere, in maniera corretta ed efficiente, tutte le informazioni contenute nello schema E-R, prodotto nella fase di progettazione concettuale.
Non è una semplice traduzione, in quanto si tratta di soddisfare due esigenze:

  1. semplificare la traduzione
  2. ottimizzare il progetto

La prima fase è quindi quella della ristrutturazione dello schema Entità Relazioni, ed è un modello indipendente dal modello logico scelto e si basa sui criteri di ottimizzazione dello schema e di semplificazione della fase successiva.
L’analisi delle ridondanze è il primo passo, ovvero si possono eliminare i dati che possono essere derivati.
Questa fase è già stata tenuta in considerazione durante l’ER, come anche la eliminazione di identificatori esterni è già stata presa in considerazione durante l’ER, mediante l’inclusione di identificatori delle entità coinvolte nell’identificazione esterna.
Ad esempio, nell’entità “giacenza di magazzino”, l’unico attributo sarebbe dovuto essere “valore della giacenza”, mentre “Identificativo Magazzino”, “Identificativo Prodotto”, “Descrizione Prodotto” sono già presenti tra gli attributi dell’ Entità “Richiesta”, e quindi sono identificatori esterni.
Dopo vari passaggi, quali l’eliminazione delle gerarchizzazioni, l’accorpamento e la separazione delle entità, passaggi che qui non sono presenti perché non ve ne è bisogno, si può passare alla traduzione verso il modello relazionale.
Così avremo:

  • per ogni entità, una relazione con lo stesso nome avente per attributi medesimi attributi dell’entità e per chiave il suo identificatore
  • per ogni relazione, una relazione con lo stesso nome avente per attributi gli attributi dell’associazione e gli identificatori delle entità coinvolte

MAGAZZINO (ID_Magazzino, Sede, Posizione GPS, Proprietario)

La stessa relazione verrà poi utilizzata per individuare il magazzino cedente.
Poi si passa all’emissione della richiesta di fornitura:

RICHIESTA_MAG_RICH( ID_Rich_a_MV, ID_Mag_Rich, Quant_Rich, ID_Prod_Rich, “Des_Prod”).

Il Magazzino Virtuale è unico e quindi non ha bisogno di identificatore di relazione.
Tramite la richiesta è possibile verificare la giacenza presso i magazzini distrettuali e presso gli altri trasportatori:

GIACENZA_TRASP (ID_Trasportatore, ID_Prodotto, Des_Prod, quantitativo)
GIACENZA_MAGAZZINO (ID_Magazzino, ID_Prodotto, Des_Prod quantitativo)

Il Magazzino Virtuale emette poi la bolla:

BOLLA ( ID_Bolla, ID_Magazzino_Cedente, ID_Prodotto, Des_Prod, Quantitativo, ID_Trasp, Data_Richiesta, Data_Consegna).

In questa prima fase, però alcuni campi sono ancora settati sul NULL, perché conosciamo solo l’identificativo della bolla, del prodotto, la sua descrizione e la data della richiesta. Tutto il resto verrà compilato con le operazioni seguenti.
Il Magazzino Virtuale potrebbe scegliere i percorsi per i vari trasportatori:

PERCORSO (ID_Percorso, ID_Bolla)

dopo averne analizzato la percorribilità:

PERCORRIBILITÀ (ID_Percorso, Lunghezza, Riforn_Benz, Velocità_Max)

ed ovviamente dopo aver scelto i trasportatori in base alle loro caratteristiche:

CARATTERISTICHE_TRASP ( ID_Trasp, Coordinate_GPS, Modo_Trasp, Capacità_Max, Tipo Trasp )

Ovviamente se il trasportatore ha già sul mezzo la merce, quest’ultimo passaggio viene saltato.
Con questa fase tutte le entità e le relazioni sono state trasformate in relazioni del modello relazionale.

LA NORMALIZZAZIONE

Una volta finito il passaggio allo schema relazionale, si effettua una specie di “controllo di qualità” della progettazione logica, tramite lo studi di alcune proprietà dette forme normali.
Per quegli schemi che non soddisfano le forme normali si effettua la normalizzazione, che consente di ottenere la qualità voluta.
Inoltre, le metodologie di progettazione che si è adottate finora, permettono di solito di ottenere schemi che soddisfino le formi di normali.
Perciò questo passaggio è più una verifica che non un vero e proprio passaggio di normalizzazione.

Le ridondanze e le anomalie sono state studiate attraversale cosiddette dipendenze funzionali, ovvero un legame di tipo funzionale tra gli attributi di una relazione. Queste dipendenze funzionali permettono la presenza di tuple tra loro uguali sugli attributi. Sia data una relazione r su di uno schema R(X) e due sottoinsiemi di attributi non vuoti Y e Z di X , diremo che esiste su r una dipendenza funzionale tra Y e Z se , per ogni coppia di tuple t1 e t2 di r aventi gli stessi valori sugli attributi Y, risulta che t1 e t2 hanno stessi valori anche sugli attributi di Z.
La forma normale presa come riferimento in questo lavoro è la Forma Normale di Boyce e Codd : ovvero una relazione r è in questa forma se, per ogni dipendenza funzionale non banale X ? Y definita su di essa, X contiene una chiave K di r, cioè X è superchiave per r, ovvero permette di identificare tutte le tuple separatamente.

La prima relazione che si analizza è:

MAGAZZINO (ID_Magazzino, Sede, Posizione GPS, Proprietario)

Esisterebbe una dipendenza funzionale tra Sede e Proprietario, perché è possibile che lo stesso proprietario possa avere più magazzini nella stessa sede, e se lo stesso proprietario avesse come vincolo quello di avere magazzini solo nella stessa sede (ad esempio zona industriale). Per evitare questa dipendenza bisogna stare attenti al significato che si dà al termine “Sede”.

La seconda è :

BOLLA ( ID_Bolla, ID_Magazzino_Cedente, ID_Prodotto, Des_prod, Quantitativo, ID_Trasp, Data_Richiesta, Data_Consegna)

Sussisterebbe una dipendenza funzionale tra ID_Prodotto ed ID_Trasp, se i trasportatori fossero adibiti a portare sempre la stessa tipologia di prodotto. Potrebbe succedere, ma data la tipologia di prodotti trasportati nei Distretti, questa è una ipotesi difficile, anche se non impossibile.
Da quanto si è visto, la progettazione precedente ha dato già i risultati sperati, ed i casi di dipendenze funzionali non banali sono alquanto remoti.

LA PROGETTAZIONE FISICA

Una volta terminate le due fasi precedenti, si passa alla progettazione fisica, ovvero si scelgono i software specifici, l’architettura hardware su cui implementare il lavoro e le caratteristiche fisiche che permettano di gestire al meglio il DB.
Questa fase è però imprescindibile dal caso reale, ovvero è strettamente necessario conoscere il numero di utenti, il volume degli accessi, i dati più utilizzati; senza contare che le diverse architetture hanno diversi costi di investimento e di mantenimento.

L’unica parte che si può portare a termine in questa fase, a titolo esplicativo, è la scelta del software e la creazione del database vero e proprio tramite lo stesso.
Riferendosi al caso del Progetto di Magazzino Virtuale, l’applicativo scelto è Microsoft SQL Server 2000 (Trial Version), facilmente reperibile sul mercato data la sua elevata diffusione.
La prima fase è stata quella della creazione delle tabelle dalle relazioni precedentemente create.

Ad esempio, la tabella “Magazzino che richiede”, aveva forma relazionale
MAGAZZINO (ID_Magazzino, Sede, Posizione GPS, Proprietario)

grafico15

Ogni singola tabella verrà definita in maniera automatica, partendo da un codice SQL standard che lo stesso SQL Server genera.

Le tabelle a loro volta avranno delle colonne i cui titoli corrispondono agli attributi che si è assegnati nelle relazioni.
Questi attributi avranno una loro forma particolare, caratteristica della tipologia con cui dovranno essere rappresentati.

 

grafico16

Ad esempio si è scelto di identificare il magazzino con un codice di tipo decimale con precisione, ovvero numero massimo di cifre decimali utilizzate nella rappresentazione di quel valore, massimo dieci.
Inoltre non è permesso il valore NULL, anche perché ID_Magazzino è chiave primaria della relazione.
Si effettua questo passaggio per ogni relazione.

Alla fine di questa fase si introducono le relazioni tra tabelle.
Ad esempio, il magazzino richiedente emette una richiesta del materiale mancante, e questa azione è rappresentabile tramite una relazione, ovvero “Richiesta Materiale”.

 

grafico17

La relazione è possibile per il legame esistente tra ID_Mag_Rich ed ID_Magazzino.

Il quadro completo è quello che segue:

 

grafico18Una volta poste le relazioni, il lavoro base è fatto.
E’ possibile effettuare altri passaggi per affinare e personalizzare l’uso del database.
Ad esempio si possono (od in alcuni casi si devono) introdurre i vincoli di CHECK, che permettono di garantire l’integrità dei dati.
Una operazione caratteristica, molto utilizzata in questo database è quello sulla lunghezza minima e massima dei valori presenti nelle occorrenze.

Ad esempio, è importante avere un valore univoco di lunghezza per identificare i codici dei prodotti:

LEN (ID_Prodotto) = 6.

Altri valori rispettati in tutte le tabelle sono (a carattere del tutto indicativo):

Attributo Lunghezza
Codice Prodotto 6
Codice Magazzino 4
Codice Trasportatore 6
Codice Richiesta 10
Codice Bolla 10
Codice Percorso 6

E devono essere rispettati quando vengono inseriti, altrimenti danno vita a valori non validi, e non è permessa l’immissione dell’occorrenza.

Su questa base di dati è possibile eseguire moltissime operazioni, dall’inserimento alla cancellazione, dalla ricerca incrociata alla modifica.
E’ possibile creare delle procedure, delle funzioni utente, tutto per una gestione ottimale della stessa.

Ma tutto questo permette di gestire dati e valori operativi, ovvero attuali; essi sono relativamente poco importanti per fornire un vero e proprio aiuto ad un sistema di supporto alle decisioni.
Tutto questo verrà fornito tramite i mezzi della Business Intelligence e del Datawarehouse, che pongono comunque le loro basi nel database appena creato.

Motivazioni allo sviluppo di un modello di Datawarehouse per i Distretti Industriali

PREMESSA

In molti casi, come si è visto, i Distretti Industriali hanno bisogno di una nuova Gestione della Conoscenza.
Nei capitolo precedenti si sono messe in chiaro solo le necessità e le modalità teoriche di passare a questo nuovo modello.
Si mostrerà ora quale è la situazione attuale dei Sistemi di Supporto alle Decisioni, così come erano intesi prima della informatizzazione, e delle proposte di applicazione dei nuovi sistemi di reporting per i Distretti Industriali.

IL REPORTING AZIENDALE ATTUALE

Def:”Il Reporting direzionale è costituito da quel insieme di rendiconti, tabelle e grafici, opportunamente strutturati, per area di responsabilità e per oggetti del controllo, che mettono a confronto, normalmente, i dati effettivamente consuntivati con quelli programmati, con l’obiettivo di evidenziare alla direzione ed al management il rispetto degli obiettivi programmati, identificare le eventuali cause di scostamento, favorire l’adozione di eventuali azioni correttive e valutare di conseguenza le prestazioni dei vari responsabili operativi”.

L’impiego del reporting nelle strategie aziendali ha l’obiettivo di conferire ai managers la possibilità di verificare, in qualsiasi momento, l’effettiva validità delle azioni pianificate e, nel caso di riscontri negativi, di fornire elementi utili alla ricerca delle cause e suggerire azioni correttive.
Le imprese contemporanee affrontano una realtà competitiva complessa e, spesso, in rapida evoluzione; proprio per questo, esse affrontano il rischio di vedere superate le ipotesi sulle strategie di mercato che erano state fatte in sede di programmazione ed hanno così la necessità di cambiarle rapidamente, per poter sfruttare al meglio le nuove opportunità o per confrontarsi con scenari non positivi.
Questo rischio si tramuta in certezza quanto più il mercato è instabile, perciò è molto importante, per i decisori, acquisire una naturale predisposizione al cosiddetto apprendimento organizzativo, che significa acquisire la capacità di riconsiderare criticamente tutte le scelte fatte, anche cambiando in maniera radicale gli stessi meccanismi di decisione e regole di gestione (è un meccanismo conoscitivo basato su di un semplice modello feed-back, ovvero man mano che aumenta l’esperienza il modello viene corretto e migliorato).

Infatti, nelle aziende vengono fissati degli obiettivi a lungo termine (mission e pianificazione), mentre per le verifiche programmatiche vengono introdotti degli obiettivi intermedi (milestones), che consentono delle adeguate verifiche.
La scelta degli intermedi già configura, di fatto, una consapevolezza del cambiamento di performance e la sicurezza di dover rivedere i targets specifici.
Questo meccanismo ciclico di programmazione, controllo dei milestones, correzione, è ben noto come Performance Management.
La via più breve per rivedere e controllare gli obiettivi intermedi, è quella di monitorare continuamente gli indicatori chiave (Key Performance Indicators) che permettono di controllare l’andamento delle performances (gap analysis) e di confrontare i KPI con i valori accettabili (benchmarking) per garantire il buon andamento del business aziendale e perseguire delle strategie coerenti con la mission.

NUOVE TIPOLOGIE DI REPORTING AZIENDALE

In generale non è possibile definire un unico schema di reporting che vada bene per tutte le realtà aziendali.
Nell’approccio tradizionale è possibile trovare diversi punti di forza ed al tempo stesso di debolezza.
Il modello classico prevede la fissazione di obiettivi generali, cumulati a livello aziendale, di reddito o di redditività, quali il ROI od il ROE, e la loro scomposizione in sottobiettivi economici assegnati ai vari centri di responsabilità (centri di costo, ricavo e profitto), di riflesso a quella che è la struttura organizzativa dell’azienda.
Da questo deriva che una struttura di reporting tradizionale è focalizzata su parametri economici da cui dipende la redditività del breve periodo.

I punti di forza del modello sono:

  • utilizzo di un parametro unico con caratteristiche di sintesi, per ogni obiettivo;
  • legame diretto ed immediato con il profitto;
  • informazioni facilmente reperibili nei sistemi contabili;

Le mancanze, che diventano sempre più rilevanti nell’impresa contemporanea, sono:

  • incapacità di sintetizzare talune variabili gestionali rilevanti, come ad esempio la qualità di prodotto o di servizio, il grado di innovazione e l’immagine, che sono i veri fattori di successo dell’impresa moderna;
  • enfasi eccessiva sul breve periodo dove, invece, la misurazione delle performance ha grande rilevanza sul medio-lungo periodo;
  • rischio di gestione troppo settoriale. Questo problema è riflesso della vecchia organizzazione aziendale modellata sulle funzioni (contabilità, produzione, magazzino, progettazione….), piuttosto che orientata al processo aziendale, che procede trasversalmente lungo tutte le funzioni. E’ per questo che si presta attenzione unicamente alle variabili che coinvolgono i singoli centri, trascurando le interrelazioni tra le unità aziendali; in questa maniera si riesce ad ottenere un miglioramento solo locale e non dell’azienda nel suo complesso.

La programmazione “budgetaria”, il reporting direzionale, gli indici economico-finanziari, che sono alla base del modello classico, erano già utilizzati nella prima metà del secolo scorso. Da allora c’è stato un forte cambiamento nelle strutture aziendali, soprattutto nel baricentro della struttura patrimoniale di molte organizzazioni.
Negli ultimi due decenni il peso degli assets intangibili sul valore economico complessivo d’impresa è andato sensibilmente aumentando. Parallelamente è cresciuta anche l’importanza strategica delle risorse immateriali, che sono giunte ad assumere un ruolo focale per le aziende più evolute nelle realtà competitive di quasi tutti i settori industriali e dei servizi.
E perciò paradossale che, di contro, si verifichi in moltissime aziende un palese ritardo nell’adeguamento delle tecniche di controllo/valutazione della gestione.
Per questi limiti si è cercato di riprogettare il sistema di reporting affiancando al sistema tradizionale, che propone gli indici di redditività, altri parametri non solo quantitativi e non solo monetari per abbracciare tutte le dimensioni gestionali critiche;

ad esempio per mantenere sotto controllo la qualità si analizzano le percentuali di scarti ed il numero di resi, per testare la bontà dei fornitori si monitorano i tempi di consegna e la flessibilità di mix.

CONTENUTI E CARATTERISTICHE DEI NUOVI SISTEMI DI REPORTING

Oggi, le aziende tendono ad introdurre nei sistemi di reporting l’analisi dei fattori critici di successo, ovvero tutte quelle variabili indicative per il successo di un’azienda.
Si tratta delle variabili che assicurano il vantaggio competitivo nel lungo periodo ed il cui controllo consente buone prestazioni all’impresa.
Questi fattori chiave sono misurati tramite gli indicatori chiave (Key Performance Indicator), il cui fine fondamentale è quello di segnalare al management come si sta comportando l’azienda e come si sta movendo ogni Centro di Responsabilità.
Questi indicatori devono avere delle peculiarità che ne consentono un corretto funzionamento e che ne garantiscano la bontà. Ne sono stati individuati tre:

  1. Frequenza; la tendenza, importantissima, che si rileva è quella dell’utilizzo di strumenti generatori di report gestiti dagli stessi utenti/decisori che permettono una aperiodicità del reporting, i cosiddetti ad hoc report, cui i affiancano i tradizionali reports periodici, con frequenza che è funzione del ritmo con cui si prendono le diverse decisioni.La frequenza, in generale, è tanto maggiore quanto più diminuisce il livello di responsabilità decisionale. Per l’alta direzione possono bastare reports mensili, mentre un decisore che lavora sulla linea ha bisogno di aggiornamenti quantomeno giornalieri. In generale, la frequenza dipende anche dalla criticità dell’area monitorata, e dal costo di ottenimento delle informazioni dei reports.
  2. Tempestività; a nulla serve stabilire degli intervalli di tempo brevi se poi gli strumenti di controllo e quelli informativi, non sono in grado di fornire i dati in tempo. Si correrebbe il rischio di fornire i resoconti fuori tempo, per decisioni che in realtà sono già state prese. Questo problema sta lentamente scomparendo, proprio con l’introduzione di nuove tecnologie informatiche, le quali permettono un’analisi quasi in tempo reale, a costi sempre più bassi. Le aziende che non utilizzano le nuove tecnologie hanno ancora questo problema in dimensioni rilevanti.
  3. Forma; la forma del resoconto assume notevole importanza: essa rappresenta, infatti, uno strumento di comunicazione in grado di enfatizzare ed indirizzare correttamente i messaggi contenuti nel sistema. Occorre che le informazioni siano rilevanti, attendibili e tempestive, ma soprattutto chiare e comprensibili. E’ per questo che esistono varie forme di rappresentazione ( tabellare, narrativa, grafica e miscellanea) che si possono intercambiare.

A queste prime tre proprietà aggiungerei, a mio parere, anche le seguenti:

  1. Personalizzazione; è importante che i singoli resoconti siano rapportati al singolo utente, che la standardizzazione sia utilizzata il meno possibile e che ogni persona possa usufruire delle informazioni di cui realmente ha bisogno, né in più, né in meno-
  2. Raggiungibilità; i nuovi sistemi di report sono strettamente legati alle reti aziendali, che permettono l’invio immediato dei report standard, e l’acquisizione in tempi dell’ordine dei minuti di resoconti personalizzati ( via posta elettronica o condivisione remota).

Tutte le caratteristiche sopra illustrate fanno sì che il report sia un mezzo potente ed effettivamente utile al sistema decisionale. Questi requisiti che ho elencato, non possono più essere soddisfatti con carta, penna e calcolatrice, ma soltanto tramite le nuove tecnologie informatiche, che permettono la gestione contemporanea di milioni di dati.

IL SALTO DI QUALITÀ DELLA BUSINESS INTELLIGENCE RISPETTO AI SISTEMI TRADIZIONALI DI GESTIONE DELLA CONOSCENZA

Come ho detto in precedenza, la categoria di prodotti informatici destinata al supporto delle attività direzionali è chiamata Decision Support System.
Nel 1989, tuttavia, H.Dresner, analista del “Gartner Group” (consulenza IT), coniò il termine Business Intelligence per indicare una classe di strumenti ed applicazioni informatiche in grado di venire incontro alle problematiche informative aziendali, quindi ai problemi di reporting.
Pertanto essa comprende tools di DSS ma, al tempo stesso, presenta un sottoinsieme di strumenti più semplici, rivolti direttamente ai managers aziendali che non hanno una conoscenza approfondita dell’elaboratore.
Il modello alla base è relativamente semplice, e permette di calcolare somme, medie o distribuzioni.

Ad esempio, il responsabile delle vendite vuol sapere quanto sia stato venduto da ogni singolo venditore, in ogni regione. In base ai risultati ottenuti tramite delle semplici condensazioni di dati, egli potrà sapere se premiare o meno i venditori per ciascuna regione, o potrà sapere se rivedere il piano delle vendite.

Da questo punto di vista, si potrebbe dire che non c’è nulla di nuovo rispetto a semplici applicativi di uso comune, e potrebbe apparire vero se non facessi alcune semplici precisazioni. Non c’è nulla di straordinario nel fare addizioni, sottrazioni, totali, medie, distribuzioni ed altro, ma il problema è che, allo stato attuale, il volume di dati è enorme, le fonti dei dati sono le più disparate, ed i calcoli eseguiti nella maniera classica porterebbero via troppo tempo.
Il valore aggiunto dal sistema di BI sta proprio nella capacità di sommare grandi e disparate quantità di dati, rendere l’analisi breve, semplice, flessibile ed il report non preconfezionato. Non è solo una novità tecnologica ma deve essere vista principalmente come strategica, in quanto l’attività di analisi viene a spostarsi da personale specializzato a tutti i manager dell’azienda.

Ad esempio, se un manager aveva bisogno di conoscere l’andamento degli scarti di produzione della macchina M1 e voleva individuarne la distribuzione ed i vari andamenti, aveva bisogno che un tecnico raccogliesse ed analizzasse i dati; dopo ovvi tempi tecnici ed eventuali tempi burocratici il manager entrava in possesso del report. Ora basta che il manager faccia la richiesta al calcolatore e questo risponde in maniera automatica, presentando il report in forma grafica, tabellare o quant’altro, magari confrontando le performance di M1 con tutte le distribuzioni delle altre macchine; il tutto avviene da qualche secondo a pochi minuti.

Il miglioramento dell’efficienza, nonché la diminuzione dei tempi e dei costi di analisi, non sono da sottovalutare per nessun tipo di azienda. L’analisi risulta essere molto più personalizzata. Come ho detto poc’anzi tra il manager e le informazioni c’erano diversi ostacoli, il che portava estreme difficoltà a colui il quale voleva effettuare delle analisi più complesse ed approfondite.
Ora è l’utente che decide in tempo reale su quali dimensioni effettuare l’analisi, siano esse tempo, spazio, cliente, dipendente, o quanto altro possa apparire nella base di dati.
Spesso si parte da informazioni più aggregate per poi esploderle più nel dettaglio.

Se, ad esempio, in un primo report con i dati dei profitti di tutte le filiali, la regione A ha un calo di vendite, in un secondo report il manager può decidere di visualizzare solo i punti vendita di quella regione; se si accorgesse che i negozi A1 ed A5 sono in perdita potrebbe formulare un terzo report dove sono mostrati le entrate di quei negozi per ogni prodotto del mix aziendale. Sono i risultati delle analisi precedenti a permettergli di impostare i parametri di quelle susseguenti, senza che abbia limitazioni di sorta, dovute a tempi tecnici di stesura del report od a complessità della richiesta.

Nell’approccio classico dei DSS ci sono modelli di Ricerca Operativa, analisi con metodi euristici, ed altri e vari criteri provenienti dai più diversi filoni della Management Science, che si rivolgono a problematiche con caratteristiche statiche, di tipo semplice, e quasi sempre risolvibili per analogie; il decisore sceglie il modello e, nei casi più difficili, prende i dati di partenza, fa i suoi calcoli, ed automaticamente ha la soluzione ottima (DSS Model Driven).
Questi sistemi, da soli, non costituiscono più una scelta intelligente, proprio perché la maggior parte dei sistemi e dei problemi che devono risolvere sono diventati ben più contorti e singolari.
Il decisore, che sceglie di utilizzare i DSS Data Driven, quale appunto la BI, passa da un ruolo relativamente passivo ad una forte interazione che lo riporta ad essere veramente decisore nei sistemi complessi.

Egli ha la possibilità di muoversi nell’intorno più ampio delle soluzioni ottime, chiedendosi continuamente “cosa accadrebbe se cambiasse…(what if, detto anche analyze then query)”, ed adattandosi al meglio alla realtà del problema. Una volta compiuto questo cammino, egli sceglie “soggettivamente ed oggettivamente” l’ottimo, soggettivamente perché il suo cammino è segnato ancora dal suo intuito e dalla sua preparazione, oggettivamente perché alla base del sistema ci sono sempre solide basi teoriche.
Si ha dunque un cambiamento sostanziale rispetto all’approccio tradizionale in cui venivano codificate varie, ma predefinite, prospettive sui dati.

LE POTENZIALITÀ DELLA BUSINESS INTELLIGENCE PER I DISTRETTI

La Business Intelligence, inizialmente tramite il Magazzino Virtuale, può aiutare a regolare e rendere efficiente e rigorosa l’analisi della conoscenza nei nuovi Distretti industriali, che hanno a disposizione un immenso patrimonio di nuovi dati che aspettano di essere trasformati in informazioni.

I meccanismi di tipo 1.a (trial & error) possono essere notevolmente formalizzati, nel senso che il datawarehousing può portare a raccogliere tutti questi dati in grandi basi, a diversi livelli di aggregazione. Attraverso meccanismi di feedback, che analizzano i processi e scovano le relazioni tra gli errori, i successi e le nuove tendenze (data mining), si può arrivare a modificare gli stessi processi aziendali ed extra-aziendali.

Ad esempio, dopo una lunga esperienza e grazie ad un’idea fulminante ci si accorge che la maggior parte degli scarti si ha in certi orari della giornata ed a certe condizioni, mentre la produzione di più alta qualità si ha in altre. Un’applicazione del data mining ben progettata si accorgerebbe subito che all’avviamento le macchine hanno peggiori tolleranze (perché sono fredde e non a regime), e gli operai hanno peggiori rendimenti all’inizio ed alla fine della giornata, od in particolari giorni della settimana piuttosto che altri. Su queste considerazioni si prendono le adeguate contromisure e si modifica l’organizzazione del lavoro od altro.

I meccanismi di tipo 2c, ovvero quelli generati grazie alle interazioni tra aziende, diventano sempre meno gestibili con le regole tradizionali, per l’aumento della complessità dell’analisi e si dipanano su due strade, le relazioni tra le imprese all’interno del Distretto e quelle dell’entità Distretto con il nuovo scenario internazionale.
Si può ritenere che, come è stato per tutte le aziende che si sono messe in gioco sui mercati internazionali, anche in questo caso la BI possa essere sfruttata per diverse analisi

Ad esempio le analisi di marketing; un ritorno d’informazioni sulle vendite negli Stati Uniti, puntuale ed ordinata, nonché tempestiva, può permettere a Natuzzi di cambiare repentinamente rotta nella produzione di alcuni tipi di divani, in alcune regioni piuttosto che in altre degli Stati Uniti.

Segue ora l’indicazione dei tre punti che potrebbero offrire convenienza economica ad effettuare investimenti in BI; essi coprono le nuove relazioni distrettuali: i rapporti con i fornitori (interni ed esterni) ed i rapporti con i distributori, principalmente sui mercati internazionali:

  1. Vendor Rating
  2. Procurement
  3. CRM

IL VENDOR RATING

Nel DI tradizionale il cliente seleziona il suo fornitore principalmente sulla base della reputazione e dei rapporti interpersonali. La selezione del fornitore come la ripetitività delle relazioni sono dovute principalmente ai meccanismi sociali che caratterizzano il Distretto come la fiducia reciproca, l’impegno e la reputazione.Perciò il prezzo, la fiducia, piuttosto che una dettagliata valutazione delle specializzazioni (skills) del fornitore, sono i principali strumenti di valutazione. Gli attori sono principalmente singoli venditori ed acquirenti.
Nel DI con impresa leader per definire e tenere accordi di lungo termine con i fornitori, che solitamente sono all’interno del Distretto stesso, l’impresa leader pone una attenzione crescente nella valutazione delle performances dei suppliers. Da un punto di vista organizzativo significa avere un maggior controllo su funzioni quali Qualità, Produzione, e design oltre che sull’unità d’acquisto. Da un punto di vista manageriale significa che i criteri di valutazione dei fornitori sono aumentati. Dietro la valutazione tecnica della singola commessa di fornitura (qualità e affidabilità), una più accurata e completa valutazione del fornitore deve essere fatta, tenendo conto della disponibilità della consegna, la flessibilità di mix e di volume, le attrezzature tecnologiche e così via.

Nei DI con meta-manager, il processo di vendor rating viene gestito direttamente da questo ultimo. In questo caso la valutazione è più sul costo della fornitura che sulle performances del fornitore, con cui spesso non si ha interesse a mantenere rapporti di lungo periodo.
Grazie alle applicazioni OLAP e di data mining possiamo ottenere un metodo oggettivo, puntuale e veloce per giudicare il comportamento dei fornitori; un’applicazione del genere non ha senso in Distretti con le metafirm ed in quelli classici o di dimensioni ridotte.
E’ quindi da valutare attentamente come ROI in alcuni casi di imprese di Distretti classici. Grande importanza può ricoprire nei Distretti maturi, con impresa leader, che ha stretti rapporti con i fornitori, in varie fasce d’importanza.
Tipicamente l’ipercubo su cui basare la classifica dei fornitori può arrivare fino a sei dimensioni:

  • Periodo:anni, trimestri, mesi;
  • Fornitori;
  • Locazione: regione, fabbrica, magazzino
  • Performance di consegna: in anticipo, puntuale, in ritardo;
  • Misure: numero di righe ordine, lead time, lead time medio, % di merce rifiutata e così via.

In questa maniera è possibile monitorare e confrontare le performances dei fornitori e, quindi, basare gli ordini di acquisto su quelli che sono più convenienti per prezzo, qualità della fornitura e tempi di consegna. E’ ovvio che quante più dimensioni e parametri si aggiungono, tanto più complessa e completa diventa l’analisi.

IL PROCUREMENT

Anche la gestione degli approvvigionamenti è gestito in maniera differente a seconda del tipo di Distretto industriale.
Nel Distretto tradizionale gli ordini vengono allocati sulla base della disponibilità dei fornitori, perciò il contratto si riferisce alla singola fornitura. Il processo di approvvigionamento finisce con la consegna della merce, che termina col controllo della bontà della merce da parte dell’acquirente.
Nel DI con impresa leader il processo è radicalmente differente. Prima di tutto l’ordine è basato su di una pianificazione di medio termine. Per di più l’offerta di appalto è concentrata nella parte iniziale della relazione, quando viene definito un accordo di massima su logistica e qualità. Il cliente garantisce una certa quantità minima annuale, proteggendo il fornitore dai rischi di mercato, ottenendo spesso l’esclusività della fornitura. In molti casi la logistica rientra nei compiti dell’impresa leader, e quindi non c’è bisogno del controllo di qualità del cliente.
Nel DI con strutture di metamanagement parecchie fasi della fornitura sono gestite direttamente da questa metafirm che si occupa della gestione ordini, allocazione, offerta di appalto, spedizione, ricezione e consegna prodotto.

E’ importante riaffermare come il procurement sia strettamente collegato al vendor rating, ed a tutti i problemi riguardanti la ricerca del miglior rapporto possibile con i fornitori.
Anche in questo caso il Distretto maturo sembra essere il terreno più fertile per un’applicazione di BI, anche se i Distretti con le metafirm od intermediari avanzati possono ricoprire una fascia interessante.
Oltre all’analisi multidimensionale affrontata nel vendor rating, è possibile introdurre nuove analisi ad esempio riguardanti:

  • Reclami, resi e rimborsi
  • Costo del servizio di fornitura
  • Graduatoria dei trasportatori

Nella prima analisi possiamo portare fino a sette dimensioni:

  • Periodo: anni, trimestri, mesi, e così via
  • Prodotto: categoria, linea di prodotto, prodotto
  • Cliente: segmento, cliente
  • Locazione: stato, regione, città;
  • Motivo d’insoddisfazione: parti difettose, spedizione errata, e così via
  • Misure: n. reclami, numero richieste, n. resi, n. rimborsi.

Nella seconda una tipica valutazione porta a sei dimensioni:

  • Periodo: anni, trimestri, mesi;
  • Prodotto: categoria, linea di prodotto, prodotto;
  • Cliente: segmento, cliente;
  • Locazione: stato, regione, città;
  • Grado di complessità della relazione;
  • Misure: unità, ricavi, costi, profitto, n.ro ordini, n.ro reclami, n.ro richieste, n.ro resi, n.ro rimborsi

Infine la graduatoria dei trasportatori:

  • Periodo: anni, trimestri, mesi;
  • Corrieri (dimensione multipla): tipi (camion, treno, aereo, nave..) e nomi;
  • Destinazione: stato, regione, provincia, città;
  • Cliente: segmento, cliente
  • Distanza: corta, media, lunga;
  • Tipo di cliente: just in time, buy and hold;
  • Misure: unità, peso trasportato, distanza, costo per Km, costo per Kg.

Grazie a questa applicazione è possibile eseguire un’attività di benchmarking tra i vari tipi di trasporto.

Il CRM

La CI (customer intelligence) fornisce gli strumenti per catturare, immagazzinare, processare, accedere, organizzare e analizzare/modellare i dati del cliente. I risultati di questa analisi sono normalmente attivati tramite i sistemi CRM.

In breve il processo del CI consiste in quattro passaggi:

  • raccolta informazioni sul cliente
  • analisi delle informazioni
  • formulazione di una strategia basata sull’analisi al fine di determinare il valore del cliente
  • intervento in base alla strategia

La CI costituisce un processo interno per capire realmente chi sono i clienti e che cosa vogliono dall’azienda; le applicazioni CRM ( rivolte al cliente) servono sempre a tenersi in contatto con la clientela, a inserire le loro informazioni nel database e a fornire loro modalità per interagire in modo che queste interazioni possano essere registrate e analizzate.
Per quel che concerne dunque le tecnologie CRM possiamo fare una distinzione in tre segmenti:

  • CRM operativo
  • CRM analitico
  • CRM collaborativo

L’architettura tecnologica è a metà strada tra quella operativa e quella analitica. Il CRM operativo è costituito dalle applicazioni CRM rivolte al cliente. Il segmento analitico include l’archivio di dati o datawarehouse. Il CRM collaborativo, diretto ai punti di contatto della clientela, include programmi applicativi quali il software per la gestione delle relazioni con i partner.

Il CRM operativo è un set di proprietà che sono preposte alla gestione di tutte le operazioni e attività di marketing e vendite. Una parte dell’universo del CRM operativo include il call center, che risponde alle richieste di informazioni e chiarimenti della clientela.

Il CRM analitico consiste nella cattura, conservazione, estrapolazione, elaborazione, interpretazione e comunicazione di informazioni sul cliente per un utente. (ad esempio, aziende come Microstrategy sono in grado di catturare dati da diverse fonti, conservarli nel database clienti e poi utilizzare centinaia di algoritmi per analizzarli/interpretarli in base alle richieste). Il valore del programma applicativo non è costituito solo dall’algoritmo e dalla conservazione dei dati, ma anche dalla capacità di fornire un servizio personalizzato utilizzando le informazioni.

Il CRM collaborativo è quasi un livello aggiunto.
È costituito dal centro comunicazioni, la rete di coordinamento che fornisce i percorsi neurali ai clienti ed ai fornitori.
Si potrebbe trattare di un portale, di canali di comunicazione come web, mail ma anche applicazioni vocali o semplicemente la posta tradizionale.
Si tratta di una qualsiasi funzione CRM che fornisca una possibilità di interazione tra il cliente ed il canale stesso.

Parte inglobata in questo terzo livello è il PRM (partner relationship management), ed è questa una parte notevolmente importante per chi deve gestire il Magazzino Virtuale, che ha come partner tutte quelle aziende che partecipano al MV stesso.
Il PRM rappresenta una strategia aziendale per la selezione e la gestione dei partner al fine di ottimizzare il loro valore di lungo termine per un’impresa. In sostanza significa scegliere i partner giusti, lavorare con loro per aiutarli a raggiungere il successo nel rapporto con i clienti in comune e garantire che partner e clienti finali siano soddisfatti ed abbiano successo.
La gestione del ciclo di vita del partner costituisce la funzionalità principale del PRM.

Le caratteristiche che dovrebbero far parte dell’applicazione sono:

  • Produttività e ricompense, il modo in cui il partner parteciperà all’attività e beneficerà dei risultati.
  • Previsioni, le previsioni sul modo in cui il partner parteciperà all’attività e beneficerà dei risultati.
  • Reporting, la descrizione di come il partner parteciperà all’attività e beneficerà dei risultati.
  • Gestione del contratto, in che modo il partner è tenuto per contratto a partecipare all’attività e a beneficiare della partnership

Progettazione del Datawarehouse per il Magazzino Virtuale

PREMESSA

Una volta affrontato il discorso generale del reporting per i vari tipi di Distretti, è necessario personalizzare il progetto per lo scenario del Magazzino Virtuale.
Questo tipo di progetto ha bisogno più di altri della personalizzazione degli utenti, oltre che delle idee del progettista.
Per ora il progetto del MV è ancora allo stadio iniziale, quindi il presente lavoro si è limitato ad immaginare i bisogni informativi di chi dovrà gestire gli approvvigionamenti, i trasportatori, le scorte dei magazzini e così via, basandosi sulle specifiche richieste da chi sta portando avanti questo progetto, ovvero la Unitec.

SCELTA DELL’ARCHITETTURA E DELLA TIPOLOGIA

La scelta che si è voluto portare avanti in questo lavoro di tesi è stata quella di progettare un data mart, piuttosto che un Datawarehouse nella sua completezza.
La scelta è stata peraltro obbligata dal fatto stesso che il Magazzino Virtuale si occupa di una specifica funzione aziendale, ovvero la Logistica e gli Approvvigionamenti.
Per Datamart si intende un sottoinsieme od un’aggregazione di dati, contenente l’insieme delle informazioni rilevanti per una particolare area del business, una particolare divisione dell’azienda, una particolare categoria di soggetti.
L’architettura scelta per il modello è un’architettura a due livelli.
Nella realtà del progetto in analisi i livelli sono quattro:

  • Livello delle Sorgenti
  • Livello di Alimentazione
  • Livello Datamart
  • Livello di Analisi

grafico19

Graficamente i passaggi sono di facile comprensione, come si può vedere dalla figura.

  • Il I livello o livello delle sorgenti, nel nostro caso è solo quello del database operazionale, ovvero il DB del MV. Le possibilità di utilizzare altre fonti di dati sono immense; esse potrebbero essere i sistemi ERP, i sistemi legacy, dati cartacei, fogli Excel.
  • Il II livello o livello dell’alimentazione, permette di estrarre i dati memorizzati nelle sorgenti, spesso tra loro eterogenee, e di renderli comprensibili ad un unico sistema, ovvero il Datamart. Questi strumenti sono definiti come ETL (Extraction Transformation and Loading), e permettono di integrare schemi eterogenei, nonché di estrarre, trasformare, pulire e filtrare i dati delle sorgenti. Gli ETL possono essere implementati all’interno della stessa azienda, od acquistati a parte su di un vasto mercato. Nel caso in esame non è stata implementata questa fase.
  • Il III Livello è quello del Datamart. Le informazioni vengono raccolte in un singolo contenitore. A fianco ad esso esiste il contenitore metadati che mantiene informazioni sulla sorgente, ovvero la struttura delle tabelle originarie e le corrispondenze con quelle di arrivo del Datamart, informazioni sui meccanismi di accesso, sulle procedure di pulizia e così via.
  • Il IV Livello o livello di analisi permette la consultazione efficiente e flessibile dei dati integrati ai fini della stesura di Report, di analisi, di simulazione. Dal punto di vista tecnologico sono richieste alcune capacità tecniche e logiche agli utenti che gli permettano di effettuare un’analisi attraverso i dati aggregati. Le analisi complesse vengono rese via via meno complesse da comprendere e da effettuare, grazie alla propensione degli applicativi di questo tipo verso la forma user-friendly, ovvero orientata all’utilizzo da parte della maggior parte di tipologie utente, soprattutto quello con scarse conoscenze informatiche.

Un’ultima scelta che bisogna fare è quella sull’implementazione del Datamart, ovvero la scelta tra Sistema ROLAP (Relational OLAP) e MOLAP (Multidimensional OLAP).

La scelta effettuata in questo lavoro è quella di adottare un sistema ROLAP.
Questa idea è ben motivata dal fatto che è stato svolto un’enorme lavoro in letteratura sul modello relazionale (lo stesso del Database del MV) e che esso è il sistema più utilizzato a livello aziendale; questo grande utilizzo in ambito aziendale implica una maggiore conoscenza dell’utilizzo e dell’amministrazione.
Tuttavia, il modello relazionale non include il concetto di dimensione, misura e gerarchia, che sono tipici delle architetture MOLAP, e che sono alla base delle analisi multidimensionali.
Per superare questo problema si utilizzano tipologie specifiche di schemi che permettano di traslare il modello multidimensionale sui mattoni base costituiti da attributi, relazioni e vincoli di integrità.
Questo ruolo è svolto da un particolare tipo di schema, utilizzato nel presente lavoro, ovvero lo schema a stella o star schema.

Il problema principale di questi sistemi è quello delle prestazioni, che soffrono della necessità di eseguire numerose operazioni di collegamento (join) sulle tabelle che solitamente sono di dimensioni elevate.
La soluzione a questo problema è quello di denormalizzare gli schemi di partenza in funzione del volume di dati utilizzati e dalla frequenza di utilizzo e quindi riscrivere gli stessi dati più volte nello stesso database (ridondanze), con conseguente aumento dello spazio utilizzato, ma anche miglioramento delle prestazioni di accesso.

Da un punto di vista architetturale, l’adozione di ROLAP richiede di avere uno stadio intermedio (middleware) che fa da interprete tra il server relazionale, dove è presente il Datamart, e l’utente finale che è il cosiddetto front-end.
Questo ruolo permette di tradurre le interrogazioni OLAP formulate dall’utente e tradurle in istruzioni SQL per il Datamart.
Nel presente lavoro questo ruolo è svolto dal pacchetto “Analysis Service” contenuto “di serie” in SQL Server 2000.

Se invece fosse stato scelto un sistema MOLAP, sicuramente l’implementazione sarebbe stata più difficoltosa, considerando la scarsità di strumenti commercialmente reperibili, oltre che una maggiore difficoltà di progettazione sul quale la letteratura è decisamente più avara.

Un vantaggio sicuro sarebbe stato quello che le operazioni multidimensionali sono realizzabili in modo semplice e naturale, senza necessità di ricorrere a complesse e costose (in termini di prestazioni) associazioni tra tabelle, proprio perché questi sistemi sono concepiti in modo multidimensionale, ad hoc per l’analisi. Le prestazioni sono quindi ottime.

IL PROGETTO DEL DATAMART

In questo paragrafo viene delineato un quadro metodologico completo, che verrà seguito nella progettazione del Datamart. L’approccio utilizzato è di tipo top-down ed include sette fasi di sviluppo, che saranno seguite per la maggior parte.

Fase     Ingresso    Uscita    
Analisi e riconciliazione delle fonti di dati Schema delle sorgenti Schema riconciliato
Analisi dei requisiti Schema riconciliato Fatti
Progettazione concettuale Schema riconciliato, fatti Schemi di fatto
Validazione schema concettuale Schemi di fatto Schemi di fatto valicati
Progettazione logica Schemi di fatto; modello logico target Schema logico del Datamart
Progettazione dell’alimentazione Schemi delle sorgenti;
Schema riconciliato;
Schema logico Datamart
Procedure di alimentazione
Progettazione fisica Schema logico del Datamart; DBMS target Schema fisico del Datamart

Fonte: R19

ANALISI E RICONCILIAZIONE DELLE FONTI DI DATI

La prima fase della progettazione richiede di definire e documentare lo schema del livello dei dati operazionali a partire dal quale verrà alimentato il Datamart.
Occorre quindi analizzare e comprendere gli schemi delle sorgenti disponibili (ricognizione), eventualmente trasformarli per portare alla luce correlazioni utili precedentemente inespressi (normalizzazione), determinare quali porzioni siano utili ai fini del processo decisionale nel settore aziendale cui il data mart è dedicato, ed infine valutare la qualità dei dati.

Qualora le sorgenti dovessero essere più di una, i loro schemi dovranno essere sottoposti ad una omogeneizzazione dei dati ed integrazione tesa ad individuare i tratti comuni e sanare le eventuali inconsistenze.
Non è la situazione del caso in esame, in cui c’è un’unica fonte, ovvero il database del MV.

Qualora invece il Datamart del Magazzino Virtuale dovesse partire direttamente dai database relazionali delle aziende presenti nel Distretto Industriale, il compito sarebbe estremamente più difficile e più lungo.
In un Distretto, a meno di circostanze particolari ed estremamente fortuite, esistono miriadi di sistemi proprietari; le opzioni potrebbero essere due: sostituire i singoli sistemi con un sistema operazionale unico, il che avrebbe senso principalmente in un discorso più ampio rispetto al progetto di Magazzino Virtuale (Distretto Rete), oppure far mantenere i sistemi in uso e dedicare parecchio tempo a questa fase della progettazione.

Alla fine di questa fase il risultato è lo schema riconciliato delle fonti di dati; nel nostro caso il risultato è lo Schema Entità Relazioni, che è alla base del database del Magazzino Virtuale.

ANALISI DEI REQUISITI

Nella fase di analisi dei requisiti, bisogna raccogliere e filtrare quello che i singoli utenti del Datamart si aspettano o potrebbero aspettarsi dallo stesso.
Come detto, questa fase è frutto delle conversazioni avute con i responsabili del Progetto di Magazzino Virtuale; sicuramente una analisi più approfondita sarebbe possibile se si analizzasse il MV nel suo reale comportamento operazionale.

La scelta dei fatti, ovvero dei concetti di interesse primario per l’analisi del sistema di supporto alle decisioni, è essenzialmente una scelta dell’utente finale. Per ogni fatto bisogna definire l’intervallo di storicizzazione, ovvero quale arco temporale dovranno abbracciare gli eventi memorizzati.

Una volta identificati i fatti, bisogna scegliere il livello di dettaglio (granularità) che meglio li rappresentano.
Questa ultima scelta è importante per determinare la velocità di risposta del sistema (elevata a basso livello di dettaglio) e livello di dettaglio, ovvero quanto approfondita deve essere la nostra analisi.
In seguito a questa prima analisi, e considerando lo schema ER del database di partenza, sono stati individuati questi fatti ritenuti importanti per il sistema.

Fatto Possibili Dimensioni Possibili Misure Storicità
Scorte prodotto, data,
magazzino_scorta,
posizionamento
quantità a magazzino 5 anni
Acquisti prodotto, data,
magazzino_acquirente,
posizionamento
quantità venduta, importo 5 anni
Consegne bolla, data_consegna,
trasportatore, luogo_partenza,
luogo_arrivo
lead time 2 anni

Tabella. Glossario dei requisiti utente

Durante questa fase bisogna calcolare anche il carico di lavoro, espresso in linguaggio naturale; è molto utile per capire quale livello di granularità utilizzare nel Datamart.

Fatto Interrogazione
Scorte
  1. Di quale prodotto si è avuta scorta inutilizzata nell’ultimo trimestre?
  2. Di quali prodotti si è avuto più spesso il sottoscorta nell’ultimo mese
  3. Andamento settimanale delle scorte per un determinato prodotto.
  4. Stabilire le abitudini di consumo stagionali
  5. Quali prodotti vengono utilizzati poco (sia dall’utente che da tutto il Distretto); serve per decidere la riduzione delle scorte
  6. etc.
Acquisti
  1. Quale prodotto/i è stato acquistato più spesso nell’ultimo bimestre?
  2. Quale quantitativo di un determinato prodotto è stato venduto nell’ultimo anno?
  3. In quale zona del Distretto si è avuta la maggiore bisogno di un determinato tipo di prodotto?
  4. etc
Consegne
  1. Quale è la velocità media di consegna di un determinato trasportatore nell’ultima settimana sul determinato percorso? E nell’ultimo mese?
  2. Qual è il trasportatore con lead time più basso sul determinato percorso?
  3. Qual è il percorso più veloce tra X ed Y?
  4. etc

Tabella. Carico di lavoro preliminare

Da notare che alcuni attributi, quali prodotto o magazzino, sono in comune a due o più fatti. Essi vanno condivisi interamente, ed inseriti in tutte e tre le gerarchie dei fatti.
Potrebbe essere interessante, in una seconda fase di sviluppo del MV, in cui il MV diventa outsourcer, stabilire la qualità delle performances dei fornitori abituali; bisognerebbe quindi aggiungere un ulteriore fatto, ovvero la fornitura, che abbia per metro di valutazione, lead time di fornitura, resi e qualità beni forniti.
Oppure come fatto aggiuntivo ci potrebbe essere la soddisfazione del cliente, ovvero capire quante volte e come l’utente del MV ha effettuato delle richieste che non hanno trovato matches di disponibilità nel Distretto, o quante volte le richieste sono state inevase, per problemi nei vari passaggi (ad esempio rottura del mezzo di trasporto o sciopero dei lavoratori del magazzino cedente).

PROGETTAZIONE CONCETTUALE

La progettazione concettuale comporta l’utilizzo dei requisiti utente catturati durante la fase precedente per disegnare lo schema concettuale del Datamart.
Il modello adottato è il Dimensional Fact Model, che prevede la creazione di uno schema di fatto per ciascun fatto di interesse individuato dall’utente.
Uno schema di fatto è in grado di descrivere graficamente tutti i concetti del modello multidimensionale: fatti, misure, dimensioni e gerarchie.
Il primo fatto in analisi è “Scorte”.

grafico20

Figura. Schema di fatto per le scorte

Esistono tre dimensioni, ognuna con tre gerarchie diverse:

  1. prodotto, con tre diramazioni; quella più importante è l’approfondimento della tipologia del prodotto che permette di confrontare prodotti che hanno utilizzi, dimensioni, forme simili.
  2. data, con profondità di periodo.
  3. magazzino, che permette di identificare la posizione del magazzino in diverse dimensioni.

Poi si è passati ad analizzare il fatto “Acquisti” e successivamente i requisiti delle forniture, tramite il fatto “Consegne”.

grafico21

Figura. Schema di fatto per gli acquisti

E’ possibile fare una richiesta della quantità acquistata e dell’importo pagato per essa:

  • in una particolare settimana
  • in una particolare zona di richiesta
  • in una particolare zona di destinazione
  • per una particolare famiglia di prodotti
  • con una particolare tipologia di confezionamento
  • ed una particolare marca
    grafico22

Figura. Schema di fatto per le consegne

PROGETTAZIONE LOGICA

La modellazione multidimensionale su sistemi relazionali è basata sul cosiddetto schema a stella (star schema) e sulle sue varianti.

Esso è composto da:

  • un insieme di relazioni DT1…..DTn, chiamate dimension table, ciascuna corrispondente ad una dimensione. Ogni DTi è caratterizzata da una chiave primaria di e da un insieme di attributi che descrivono le dimensioni di analisi ed i diversi livelli di aggregazione
  • una relazione FT, chiamata fact table, che importa le chiavi di tutte le dimension table. La chiave primaria di FT è data dall’insieme delle chiavi esterne della dimension table

La visione multidimensionale si ottiene eseguendo l’associazione (join) tra la fact table e le dimension table.

Le dimension table non sono in terza forma normale, poiché la presenza contemporanea di tutti gli attributi di una gerarchia dà luogo a dipendenze funzionali transitive. Questo produce ridondanze, ma permette di diminuire il numero di associazioni da fare per ottenere una determinata informazione.

Qualora si volesse risparmiare spazio su disco oppure seguire al meglio la teoria della normalizzazione, bisognerebbe introdurre nuove tabelle e creare così uno schema a fiocco di neve.
In questo lavoro si è mantenuta la ridondanza massima.

grafico23

Figura. Star Schema “Giacenza”

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Figura. Star Schema “Acquisti”

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PROGETTAZIONE FISICA

Con la progettazione fisica si concretizzano le scelte compiute durante le fasi di progettazione e lo schema del Datamart assume la sua forma finale.

Nel primo passo della progettazione fisica si è creato il database relazionale con SQL Server 2000 (MagazzinoVirtualeDataMart), alla stessa maniera del DataBase creato per il MV (MagazzinoVirtuale).

grafico26

Una volta compiuto questo passaggio, si imposta il database relazionale MagazzinoVirtualeDataMart come sorgente per i cubi su cui effettuare l’analisi tramite l'”Analysis Service” presente nel pacchetto di SQL Server 2000.
Se il database risiede sul server SQL, allora bisogna settarlo come origine dati “Microsoft OLE DB Provider for SQL Server”.

Questo il risultato per il cubo degli acquisti

grafico27

Idem per quello delle scorte.

Il risultato, in pratica sarà costituito da dei cubi che è possibile navigare in tempo reale, a diversi livelli di aggregazione, nel tempo, nello spazio, nel prodotto e così via, fornendo dei risultati di facile accesso con interfacce user-friendly.

Questo tipo di navigazione non è altro che il primo passo verso una navigazione dei dati molto più avanzata.

Conclusioni

Se nella realtà venisse adottato il Magazzino Virtuale e si procedesse seriamente alla informatizzazione, la realtà per i DI sarebbe decisamente diversa.

Lo scenario attuale presenta, come si è visto, una realtà industriale che procede ancora con mezzi tradizionali, burocratici, lenti, limitativi.
Il risultato è che i DI perdono terreno all’avanzare di nuove realtà industriali globali, quali quelle dei paesi emergenti, che hanno dei vantaggi competitivi rispetto alle imprese del comprensorio distrettuale.
Non è possibile affrontare i mercati globali con i vecchi mezzi.

Già la sola “normalizzazione” dei codici commerciali a livello distrettuale permetterebbe:

  • un risparmio economico derivante dall’eliminazione degli intermediari, che gonfiano i prezzi.
  • un risparmio economico derivante dalla riduzione effettiva delle scorte che vengono razionalizzate, perché non si manterrebbe più l’anomalia di avere lo stesso prodotto catalogato n volte a magazzino, con n scorte differenti
  • un risparmio di tempo ed una semplificazione derivante da una notevole riduzione delle voci a magazzino
  • consolidamento delle aree occupate

Se tutto questo ha un valore notevole a livello della singola a azienda, figurarsi su 400 aziende distrettuali.

L’adozione del Magazzino Virtuale permetterebbe di ottenere:

  • un aumento della liquidità finanziaria derivante dalla diminuzione delle scorte di almeno il 20% (eliminazione della scorta di sicurezza) dei materiali di manutenzione
  • diminuzione dei costi di magazzino, perché si mantiene meno merce in magazzino
  • aumento della disponibilità, perché il MV permette di accedere alle merci messe a disposizione da tutto il resto del Distretto, quindi sarebbe possibile accedere a beni che mai si sarebbero tenute a magazzino, per motivi di costo principalmente

Qualora si scegliesse di utilizzare il MV anche come outsourcer degli approvvigionamenti, ovvero affidargli la gestione ordinaria dei rifornimenti si potrebbe accedere ad ulteriori vantaggi, quali:

  • buyer aggregation derivanti dal fatto che l’outsourcer si occuperebbe di tutte le imprese distrettuali e potrrebbe effettuare gli approvvigionamenti sfruttando enormi economie di scala
  • miglioramento degli approvvigionamenti, perché la qualità della fornitura aumenterebbe; infatti si avrebbe maggior peso contrattuale dell’outsourcer rispetto alle piccole imprese distrettuali

Trasversalmente a questi vantaggi si pongono quelli derivanti dalla riorganizzazione dei Sistemi Informativi e da un approccio serio e sereno verso l’informatizzazione.

Ad oggi, per l’implementazione del MV, per migliorare la Gestione della Conoscenza, per ottenere una rielaborazione delle immense potenzialità fornite dai dati disaggregati, bisogna passare obbligatoriamente per un potenziamento delle Reti Intradistrettuali, che garantiscano un miglioramento delle comunicazioni all’interno del DI, ed un potenziamento della rete Intraziendale.

Che le applicazioni siano il CRM, il Business to Consumer, il Business to Business, il Datawarehousing od il Data Mining di esse al giorno d’oggi l’azienda non può fare a meno se vuole essere efficace ed efficiente nella propria gestione.
Bisogna conoscere al meglio quello che vogliono i clienti, anticiparne realmente i desideri, anche quelli più nascosti; bisogna trovare nuovi mezzi di comunicazione col cliente; bisogna andare oltre il sito internet usato come vetrina e renderlo attivo, autonomo, interessante, ma soprattutto un mezzo redditivo e non una pura esercitazione di tecniche informatiche; bisogna cambiare l’azienda, il modo di intendere i dati aziendali, le informazioni interne; bisogna anticipare la domanda interna ed esterna.

Ma né il Magazzino Virtuale né l’informatizzazione saranno possibili se non si metterà mano in maniera consistente ai processi aziendali.
Ogni azione che sia solo accessoria, e non integrata in un progetto unico di grande respiro equivarrebbe a non fare nulla.

Bibliografia

I Distretti Industriali: Elementi Fondamentali e Strutture
Elementi fondamentali: R1 23
Le Tipologie d’Impresa Distrettuale: R1 17-18
Le Configurazioni Distrettuali R2 4-7
L’organizzazione del processo produttivo R1 16
I Tre Punti Cardine R1 18-22
Il Settore Industriale R1 18

La Scelta dell’Internazionalizzazione ed il suo Nuovo Significato
L’Internazionalizzazione dei Mercati: la Minaccia R3 Capitolo “Il nuovo sinificato dell’internazionalizzazione”, “Diversi tipi di sapere”, “E i Distretti?”
Dal Mercato Captive a quello Mondiale R3 Capitolo “Diversi tipi di sapere”, “L’evoluzione possibile”
I Gap delle Imprese Distrettuali R1 61-78
L’ipotesi della Collaborazione e della Condivisione per superare i Gap R1 73-74, R3 Capitolo
“L’evoluzione possibile”

Un Primo Passo verso il Distretto Rete: il Magazzino Virtuale
Una Necessità Prioritaria: Abbattere i Costi R4 XI-XII, R5, R4 1-26,136-144, 171-240
L’Impresa-Rete: Condivisione di Beni ed Informazioni Rimanendo Proprietari R6
I Vantaggi del Magazzino Virtuale R6

La Nuova Gestione della Conoscenza nei Distretti
Premessa La Conoscenza Scambiata nei Distretti R1 31-60
Come sta Cambiando la Gestione della Conoscenza nei Distretti Industriali R1 47-60 R3 “L’evoluzione possibile”
L’Evoluzione Possibile: la Nuova Gestione della Conoscenza R1 73-78
I fattori Sfavorevoli alla nuova Gestione della Conoscenza R7, R8

Progettazione del Database per il Magazzino Virtuale
Progettare il Database R9 1-10, 163-168
La Progettazione Concettuale: Il Modello Entità-Relazioni R9 168-189, 197-219, R10
Il Modello Entità-Relazioni per il Magazzino Virtuale R6
Un Problema da Risolvere R6
Progettazione Logica R9 227-270
la Normalizzazione R9 271-290
La Progettazione Fisica R11

Motivazioni allo sviluppo di un modello di Datawarehouse per i Distretti Industriali
Premessa Il Reporting Aziendale attuale R12 10-11, 16-26; R13
Nuove Tipologie di reporting Aziendale R12 16-26
Contenuti e caratteristiche dei nuovi sistemi di Reporting R12 16-26
Il Salto di Qualità della Business Intelligence rispetto ai Sistemi Tradizionali di Gestione della Conoscenza R12 139-141; R14 4-5; R15 4
Le potenzialità della Business Intelligence per i Distretti R1 61 R16 R17
Il vendor rating R16
Il Procurement R12, R18 89-105
Il CRM R12, R18 141-170

Progettazione del Datawarehouse per il Magazzino Virtuale
Premessa Scelta dell’Architettura e della tipologia. R19 1-45
Il progetto del Datamart R19 45-59
Analisi e Riconciliazione delle Fonti di Dati R19 59-79
Analisi dei Requisiti R19 79-89, R6
Progettazione Concettuale R19 91-160
Progettazione Logica R19 197-218
Progettazione Fisica R20

Conclusioni

Testi di riferimento per la bibliografia

R1 V. Albino, N. Carbonara, G. Schiuma, Relazioni interorganizzative e conoscenza nei Distretti industriali, 2000 DAPIT Ricerche (Università della Basilicata)
R2 N. Carbonara, Information and Communication Technologies and Geographical Clusters: Opportunities and diffusion
R3 ConsorzioAASTER, Rapporto sui principali Distretti Industriali Italiani per Confartigianato, 2001
R4 Modelli e Metodi per l’Organizzazione dei Sistemi Logistici, Ghiani Musmanno, Pitagora, 2000.
R5 www.unitec.it , slides per ERP, Unitec, Marino, 2002
R6 colloqui con Vincenzo Marino, lavori di tesi sul sito www.unitec.it, materiale informativo su www.magazzinovirtuale.it
R7 Federcomin, I Distretti Produttivi Digitali, 2001
R8 Federcomin, I Distretti Produttivi Digitali, 2002
R9 Atzeni, Ceri, Paraboschi, Basi di dati, seconda Edizione, McGraw-Hill, 1999
R10 E. Di Sciascio, Dispense per il corso di Sistemi Informativi, 2001, Politecnico di Bari
R11 Riordan, Microsoft SQL Server 2000, passo per passo, Microsoft, Mondadori 2001
R12 L.Falduto, Reporting aziendale e business intelligence, Giappichelli, 2002
R13 C.Ampollini-M.Samara, Come innovare il sistema di controllo di gestione, F.Angeli,1996
R14 V.Dhar-R.Stein, Seven Methods for transforming corporate data into Business Intelligence, Prentice Hall,1997
R15 http://dlab.cineca.it ,2002
R16 N. Carbonara, C. Garavelli, G. Lanzolla, The role of information and communication technology in client-supplier relationships within industrial districts: a knowledge-based approach, , Nov 2000, paper
R17 E.Vitt, M.Luckevich, S.Misner, Business Intelligence: Making better decision Faster, Microsoft Press 2002
R18 Kimball, Ross, The Datawarehouse Toolkit, Second Edition,2002, Wiley & sons.
R19 Golfarelli, Rizzi, Datawarehouse, teoria e pratica della progettazione, McGraw-Hill, 2002
R20 Jacobson, Microsoft SQL Server 2000 Analysis Service, passo per passo

CONSULTAZIONE GENERALE

V.Dhar-R.Stein, Seven Methods for transforming corporate data into Business Intelligence, Prentice Hall,1997.
Inmon, Building the Datawarehouse, Third Edition, Wiley & sons, 2001
Westerman, Datawarehousing, using the Wal-Mart Model, Academic Press, 2001
V. Di Bari, Dizionario dell’Economia Digitale, Il Sole 24 Ore, 2002

Curriculum Vitae di CLAUDIO CAFORIO

Obiettivo Professionale

Raggiungere elevate competenze nel campo del Decision Support System, ed investirle in consulenza ed assistenza al mondo imprenditoriale ed amministrativo in genere.

Formazione

Laurea quinquennale in Ingegneria Gestionale, conseguita nella seduta di laurea del 29 Aprile 2003, con votazione 104/110.
Il titolo del lavoro di tesi è ” I Sistemi di Supporto alle Decisioni ed allo Sviluppo Economico per i Distretti Industriali: Il Magazzino Virtuale Unitec”.
Diploma di Maturità Classica

Competenze

Alle competenze classiche di un neo-ingegnere gestionale (Classe Industriale, per impostazione del Politecnico di Bari simile ad un Ingegnere Meccanico di Produzione), ne ho affiancate altre di carattere: informatico applicativo

Utilizzo dei sistemi operativi Windows 98 e Windows XP Professional
Conoscenza intermedia di SQL Server 2000 ed SQL Server Analysis Service
Conoscenza intermedia degli applicativi Microsoft Office
Conoscenza di base di numerosi applicativi di grafica, CAD/CAM, e software di vario utilizzo, ad ampia diffusione commerciale

informatico di programmazione

Programmazione di base in Java, Linguaggio C, SQL.
Programmazione elementare in Matlab
Programmazione elementare per macchine CCN

linguistico

Conoscenza intermedia della lingua inglese (Upper Intermediate Level, attestata dal Final Test presso il Laboratorio Linguistico del Politecnico di Bari, e da corsi presso scuole private di lingua)

Dati Personali

Data di Nascita 22 Aprile 1977
Luogo di Nascita Francavilla Fontana (BR)
Obbligo di Leva in teoria da assolvere, ma dal 1 Gennaio 2005 in Italia non vi sarà più obbligo di leva per alcuno; tramite master od assunzione è possibile ottenere rinvio o dispensa

Dati di Recapito

Recapito Telefonico
3392692044
Posta Elettronica
claudiocaforio@virgilio.it
Recapito per Corrispondenza
Claudio Caforio
Via San Pietro Canali 48,
72021 Francavilla Fontana (BR)
Io sottoscritto, Claudio Caforio,autorizzo l’utilizzo dei miei dati personali, ai sensi della legge 675/96 sulla privacy In fede ClaudioCaforio